Oli d’oliva, paste o creme al tartufo. Sono molti i prodotti in commercio, specialmente a livello industriale. Costano poco, hanno uno spiccato aroma di tartufo. Ma i cosiddetti prodotti al “tartufo” lo contengono davvero?
Lo abbiamo chiesto a Vera Ventura, ricercatore in Economia Agroalimentare presso il DICATAM dell’Università degli studi di Brescia e Silvia Marconi, assegnista di Ricerca presso il Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali dell’Università degli Studi di Brescia, parte del team multidisciplinare di Dispens@ la nuova piattaforma nata dalla collaborazione tra docenti, medici e ricercatori dell’Università degli Studi di Brescia con l’obiettivo di diffondere, in un settore in cui dilaga la disinformazione, conoscenze scientificamente solide sul rapporto tra cibo e salute e indicazioni pratiche per migliorare l’alimentazione di ogni giorno, uscendo dall’ambito puramente accademico.
C’è differenza tra prodotti all’aroma di tartufo, all’aroma naturale di tartufo o al tartufo, sono diciture interscambiabili?
«Tartufo, aroma naturale di tartufo e aroma di tartufo non sono sinonimi e non possono essere tra loro intercambiabili, soprattutto quando si parla di etichette alimentari. Infatti, quando viene indicato il termine “tartufo” tra gli ingredienti si riferisce ad un quantitativo di fungo più o meno consistente e generalmente viene indicato anche con il nome latino (Tuber magnatum, se si tratta del tartufo bianco o Tuber melanosporum se si riferisce al tartufo nero). La quantità varia e può andare da uno 0,5% sul peso totale (che però permette di poter utilizzare l’immagine del tartufo sulla confezione) fino anche ad un 5% nel caso in cui si tratti di un prodotto con la dicitura “condimento a base di tartufo”.
Nel caso dell’aroma invece è importante fare una distinzione: nel caso venga associato l’aggettivo “naturale”, si tratta per legge di una sostanza ottenuta da una matrice presente in natura, mentre se viene indicato solo con il termine ”aroma di tartufo” si fa riferimento ad un composto ottenuto per sintesi chimica che si chiama bismetiltiometano. Può succedere che al tartufo presente in piccolissime percentuali, venga abbinato l’aroma di tartufo per esaltarne il sapore (soprattutto quando quantità e qualità sono tali da non produrre un sapore caratteristico) e in quel caso in etichetta troveremmo la doppia dicitura: tartufo e aroma di tartufo».
Cosa c’è dentro i prodotti all’aroma di tartufo?
«Il profumo di tartufo è stato oggetto di numerose ricerche e ha dato vita alla creazione di brevetti già a partire dagli inizi del 1900 quando venne proposto un olio di oliva aromatizzato al tartufo (Morel-Lautier 1904). In seguito, grazie all’avvento di strumenti di analisi analitica precisi come il gas-cromatografo, è stato possibile identificare la molecola responsabile del caratteristico profumo di tartufo, ossia il bis(metil-tio)metano (BMDTM). Interessante ricordare che fu proprio un italiano, il Dott. Fiecchi ad isolarlo per la prima volta nel 1967 (1). Questo è un composto altamente volatile che viene così percepito in maniera chiara e distintiva dal consumatore attraverso l’olfatto.
Nei prodotti che presentano la dicitura in etichetta “aroma di tartufo”, non è presente la molecola che deriva dal tartufo, ma la stessa molecola prodotta in maniera sintetica in laboratorio. Quindi, se nell’olio al tartufo è necessariamente presente tartufo tale e quale, nell’olio che presenta la dicitura “all’aroma di tartufo” o “aromatizzato al tartufo” sarà presente BMDTM ottenuto in laboratorio e nulla che derivi dal fungo.
Anche se richiesto da molte associazioni di produttori e consumatori, secondo la normativa UEnon è possibile indicare in etichetta la dicitura “aroma di sintesi” (2)».
Note: 1. Fiecchi a. et al. Bis-methylthiomethane, an odorous substance from white truffle, tuber magno pico. Tetrahedron Letters 1967;8(18):1681-2.
2. Piano nazionale della filiera del tartufo 2017 2020 – Mipaafwww.politicheagricole.it › P › BLOB:ID=11100
Che cos’è il Bismetiltiometano, fa male alla salute?
«Il Bismetiltiometano, conosciuto anche con il termine 2,4-ditiopentano viene ottenuto attraverso un processo chimico partendo dagli olii minerali (derivati del petrolio) e trova impiego nei processi di sintesi organiche e come solvente. È un composto che si presenta liquido, di colore giallo chiaro, pochissimo solubile in acqua, ma che si solubilizza bene negli alcoli e negli olii (1). Visto i costi molto ridotti, la solubilità e la stabilità nel tempo, abbinate ad una ridotta tossicità, è stato subito utilizzato come aroma per la produzione di oli aromatizzati al tartufo e vari prodotti aromatizzati.
Il bismetiltiometano è stato sottoposto ad una serie di indagini per verificare l’assenza di tossicità e la commissione dedicata della FAO e dell’WHO nel 1999 lo ha definitivamente validato come additivo alimentare (IPCS INCHEM 1999 – Tecnichal Fiche JECFA n. 533) (2). Tutti gli studi di tossicità condotti su modelli animali non hanno riscontrato effetti dannosi anche utilizzando quantitativi abbondantemente superiori alle concentrazioni abitualmente presenti nei prodotti alimentari. Il bismetiltiometano è stato quindi definito sicuro e annoverato tra gli aromi alimentari (3)».
Note: 1. FAO, Food Safety and quality; Online Edition: “Specifictions for Flavorings” http://www.fao.org/food/food-safety-quality/scientific-advice/jecfa/jecfa-flav/details/en/c/136/.
2. Pacioni G, Cerretani L, Procida G, Cichelli A. Composition of commercial truffle flavored oils with GC-MS analysis and discrimination with an electronic nose. Food Chem. 2014 Mar 1;146:30-5. doi: 10.1016/j.foodchem.2013.09.016. Epub 2013 Sep 11. PMID: 24176309.
3. Evaluation for the joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives (JECFA). https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/42378/WHO_TRS_896.pdf;jsessionid=773E03186C38D50A0A6F761AA767DB72?sequence=1
Come distinguere i prodotti, basta leggere l’etichetta alla voce ingredienti?
«Per quanto riguarda la possibilità del consumatore di distinguere tra un alimento contenente tartufo, aroma naturale di tartufo o aroma di tartufo, restano solo due aspetti su cui fare affidamento: la lettura attenta dell’etichetta e il prezzo.
Per quanto riguarda la dicitura in etichetta, il produttore è tenuto per legge ad indicare il composto realmente presente nel prodotto, altrimenti risulta passibile di frode alimentare; per quanto riguarda il prezzo, il tartufo bianco d’Alba nella stagione 2020 presenta un costo che varia dai 2000 ai 4000 Euro al Kg in base alle dimensioni del fungo. Facendo quindi le doverose proporzioni, il prezzo può rappresentare un ulteriore strumento di discriminazione.
Infine, nel caso in cui si decida di consumare direttamente il tartufo al ristorante, La Federazione Italiana Tartuficoltori Associati (FITA) conferisce una targa ai ristoratori che in cucina utilizzano solo tartufo vero».
In caso di prodotti all’aroma naturale di tartufo perché è bene prestare anche in questo caso attenzione all’etichetta?
«In alcuni prodotti, la presenza dell’aroma naturale di tartufo potrebbe essere rafforzata dall’aggiunta dell’aroma di tartufo e quindi va letta con attenzione l’etichetta, che in questo caso deve riportare entrambe le diciture. Inoltre, in alcuni prodotti viene riportata la presenza di crema preparato con percentuali variabili di tartufo, e quindi per determinare il reale quantitativo di tartufo vanno fatti calcoli accurati utilizzando le percentuali riportate».
Perché quando acquistiamo un prodotto è importante, in generale, saper leggere l’etichetta?
«La carta identità di ciascun prodotto: ecco come possiamo considerare l’etichetta alimentare, che nasce con il preciso scopo di tutelare la salute dei consumatori e assicurare un’informazione chiara e trasparente.
L’ etichetta è composta da molte parti: alcune informazioni obbligatorie (come l’elenco degli ingredienti, la durabilità, il paese di origine del prodotto) rendono l’etichetta un valido strumento per garantire sicurezza (si pensi al rilievo dato alla presenza dei più comuni allergeni e dei loro derivati) e tracciabilità, che consente di individuare qualsiasi prodotto in ognuna delle fasi del ciclo produttivo.
Altre informazioni presenti in etichetta sono volontarie, cioè sono lasciate alla libera scelta dei produttori che le possono utilizzare quali strategie di differenziazione del prodotto nei confronti della concorrenza, cioè per valorizzare la caratteristica o l’insieme di caratteristiche che rendono un prodotto diverso, particolare, rispetto a prodotti dello stesso genere e che quindi può incontrare le preferenze di uno specifico gruppo di acquirenti. Si pensi ad esempio alle le denominazioni di origine (DOP, IGP, SGT), o ai marchi che certificano processi di produzione più rispettosi dell’ambiente.
Quest’ampia varietà di informazioni rende l’etichettatura un utile strumento per supportare i consumatori nel fare scelte informate riguardo alle proprie abitudini alimentari, a quali prodotti scegliere per soddisfare le necessità legate al personale stile di vita di ciascuno e alle proprie preferenze, ciò che ci piace o ciò che riteniamo importante».
Come si impara a leggere un’etichetta?
«Fare la spesa è un’abitudine quasi quotidiana e spesso, anche per carenza di tempo, non si presta la dovuta attenzione alla lettura delle etichette alimentari. Una recente ricerca ha infatti rivelato che molti consumatori mancano di motivazione e interesse, e per questo sono in fase di studio nuovi strumenti per rendere le informazioni in etichetta sempre più chiare e comprensibili. Detto questo, si può imparare a leggere un’etichetta alimentare innanzitutto facendolo: dedicare uno sguardo in più alla lettura di ciò che sta scritto sulle confezioni dei prodotti può consentire, nel tempo, di notare e cogliere le differenze, può far scaturire domande specifiche e invogliare la ricerca di informazioni a riguardo di un preciso ingrediente, un processo, un marchio. Prestare quindi attenzione all’etichetta e leggerla per intero rappresenta il punto di partenza per iniziare a conoscere il prodotto che abbiamo in mano. Nell’etichetta si trovano infatti nome del prodotto, elenco degli ingredienti in ordine di peso decrescente, la quantità netta in peso o volume, il termine minimo di conservazione o la data di scadenza e la modalità di conservazione. Inoltre, nel caso un ingrediente venga evidenziato in etichetta, come può accadere con il tartufo, deve essere indicato nell’elenco degli ingredienti riportando la percentuale specifica; si tratta infatti dell’ingrediente “caratterizzante”».
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