Collio conserva anche il sapore della devozione di un tempo in cui le chiese erano luogo di fede, di preghiera, ma anche di aggregazione e di sostegno della comunità. Raggiungendo la trattoria Tamì non si può mancare una visita alla chiesa di San Rocco
LA CHIESA DI SAN ROCCO
Non è difficile da individuare: la sua mole austera si affaccia sulla strada che porta verso la frazione di Memmo.
A voler seguire con precisione la linea del tempo bisognerebbe iniziare ad osservare l’edificio non dalla facciata, ma dal retro: l’abside con la sua bella decorazione ad archetti in cotto che corre nel sottogronda, infatti, è la sua parte più antica ed è pertinente ad una cappella costruita nel 1474 in occasione di una delle ricorrenti epidemie di peste che funestavano il nostro territorio.
In un’epoca in cui si poteva riporre poca fiducia nella scienza medica, il modo più efficace per ritrovare la speranza della guarigione era costruire chiese e pregare i santi in generale, ed in particolare San Rocco e San Sebastiano che erano i “portatori d’aiuto” per eccellenza in caso di contagio ed epidemie.
Questa chiesetta quattrocentesca dedicata proprio ad entrambi fu ricostruita un secolo più tardi perdendo il riferimento a San Sebastiano, ma acquisendo l’aspetto che ancora oggi possiamo ammirare con la severa facciata a capanna appena alleggerita dal rosone e il bel portale strombato in cui colonne e pilastri alternati si alternano a dare profondità. Una iscrizione non più leggibile documentava che la mostra di porta fu commissionata dalla comunità di Collio e dalla società dei minatori che faceva capo alla miniera chiamata Valdardo, operativa nel XVI secolo.
L’austerità della struttura architettonica esterna della chiesa di San Rocco si specchia anche nell’aula tripartita da sei alte colonne in pietra con capitelli decorati a rilievo da fiori e foglie. La volta è a travature lignee sostenuta da un gioco di arcate a pieno centro e le pareti perimetrali appaiono spoglie e solo la luce, che entra dalle grandi finestre, valorizza lo spazio sacro. Nell’area absidale, invece, restano degli affreschi: sulla fronte dell’arco trionfale c’è San Rocco che presta soccorso agli appestati, in un dipinto murale attribuito a Giovanni Antonio Italiani e realizzato nella seconda metà del Seicento. Rispecchiano, invece, la cultura figurativa del tardo Quattrocento i dipinti che ornano le tre absidi corrispondenti alle navate. Di un certo pregio, non solo per la qualità pittorica ma anche per l’iconografia, è il Cristo Pantocratore accompagnato da figure angeliche e dai quattro evangelisti che si trova al centro del catino absidale.
IL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA MISERICORDIA
Al patrimonio d’arte e di devozione di San Rocco apparteneva anche la pala firmata da Antonio Gandino e datata 1606 raffigurante la Madonna con il Bambino in gloria e i Santi Fabiano, Rocco e Sebastiano, che, oggi, si trova in un’altra chiesa che vale la pena di vedere prima di lasciare Collio. Si tratta della cosiddetto Santuario della Madonna della Misericordia, cuore della frazione di Tizio.
Elegante e misurata, la facciata dell’edificio unisce elementi tipici dell’architettura tardo gotica come gli archetti in cotto che seguono il profilo della facciata e la circonferenza del rosone a caratteri pienamente rinascimentali come le cornici in pietra delle finestre scolpite in prospettiva o il portale sormontato da fregio e frontone di ispirazione classica.
Altrettanto sorprendente è l’aula unica terminante nel presbiterio voltato a crociera, che accoglie opere d’arte e arredi la cui cronologia segue le tappe dell’evoluzione dell’edificio.
Sono datati alla prima metà del Cinquecento l’Annunciazione dipinta sulla fronte dell’arco trionfale e i vari affreschi raffiguranti il gruppo della Madonna con il bambino accompagnati da santi diversi; all’inizio del secolo successivo risalgono, invece, i frammenti con le Storie della vita di Maria e le figure dei santi stanti, distribuiti fra aula e presbiterio; si muovono fra Barocco e Neoclassicismo la cantoria e la mostra d’organo che si guardano dai lati della navata.
L’opera d’arte che, però, dà identità al Santuario di Tizio è la piccola icona realizzata del maestro cretese Nikolaos Tzafouris che, fra il 1487 e il 1500, lavora a Candia. Si trova in una edicola che sormonta l’altare maggiore ed è inserita in un apparato decorativo composta dalla soasa in legno scolpito e dorato commissionata nel 1675 a Giovanni Faustini di Chiari e Giovanni Pietro Bonomi di Avenone, dalla pala d’altare dipinta da Giuseppe Nuvolone (1677), mensa e tabernacolo in marmi policromi arricchiti da statuette a tutto tondo.
Un insieme pregiato che dà forma concreta alla devozione che, per secoli, si è raccolta intorno a quest’opera eccezionale anche per la sua provenienza. Non si sa chi abbia fatto arrivare questa tavoletta da Creta, ma non è difficile immaginare come, da questo punto in poi, la devozione si mescoli alla storia delle antiche vie del commercio dando vita ad altri racconti. Qui basti ricordare che il nostro dipinto potrebbe essere passato dal porto di Venezia e sia giunto in paese nella bisaccia di un mercante arrivato per acquistare ferro e piombo o per raggiungere le valli tirolesi.