Per secoli Brescia è stata una città che viveva sull’acqua e accanto all’acqua.
Ve la immaginate così? Provo a raccontarvela attraverso alcuni dettagli di paesaggio urbano sparsi nella storia fra Medioevo ed età moderna.
Ecco allora che l’asfalto di via San Faustino si trasforma nella corrente del Garza e per attraversare il fiume davanti alla Chiesa dei Ss. Faustino e Giovita si usa il ponte Falcone; per andare verso la Chiesa del Carmine, invece, c’è il “pontesello”. Piazza Rovetta lascia il posto ad un laghetto, fontane e abbeveratoi sparsi lungo le vie della città che dissetano uomini e animali. E poi ancora molte delle strade e dei vicoli del centro storico cedono il passo ai canali con il relativo corredo di chiuse, ruote idrauliche e indaffaratissimi artigiani.
Potrebbero essere moltissimi altri gli elementi utili a ricomporre il quadro di una città che ebbe davvero un rapporto privilegiato con questo elemento.
Un legame dovuto certamente alla disponibilità di risorse naturali, ma anche alla capacità di governarle e ottimizzarle e che ha certamente contribuito a creare quella fama di prosperità e vivibilità ricordata nelle cronache storiche in modo ricorrente.
GLI ACQUEDOTTI
Già nella Brixia romana esistevano ben due acquedotti.
Il primo, chiamato dell’acqua salsa, arrivava da Lumezzane, entrava in città dalle pendici nord orientali del Cidneo nei pressi della porta urbana che ancora si vede fra i tornanti di via Brigida Avogadro (questo passaggio era possibile perché fino al XVI secolo il Colle Cidneo e la Maddalena erano collegate da una porzione di monte). Serviva le fontane e le terme pubbliche, ma anche le case patrizie. Queste ultime potevano essere allacciate all’acquedotto pubblico grazie ad una concessione imperiale che veniva elargita nominalmente ad un singolo cittadino, cessando automaticamente alla sua morte senza alcuna possibilità di trasmissione agli eredi. La prova dell’esistenza di questo privilegio anche nella nostra città sono le quattro fontane che arricchiscono le Domus dell’Ortaglia.
Il secondo acquedotto, probabilmente più tardo cronologicamente rispetto a quello proveniente dalla Valle Trompia, si componeva di due condotti paralleli che correvano lungo l’attuale contrada Santa Chiara. Oltre il tratto urbano, il suo percorso non è così chiaro e documentato, ma sembra che esso sfruttasse già la fonte di Mompiano.
Se così fosse allora le polle che affiorano dalle rocce sulle pendici del colle di San Giuseppe “darebbero da bere” alla città da due millenni, anno più, anno meno. Questa ipotesi diventa certezza a partire dall’epoca longobarda quando l’acqua proveniente da Mompiano divenne l’acqua di Brescia e tale restò fino all’inizio del Novecento.
Per secoli il condotto con le sue derivazioni fu di proprietà del Comune che, fin dagli statuti della fine del XIII secolo, ne rivendica l’uso e la tutela.
In sintesi, il sistema idraulico prevedeva il condotto principale nel quale erano praticati dei fori di dimensioni variabili, detti bocche; da esse prendevano il via dei tubi di cotto o pietra che distribuivano l’acqua fuori e dentro le mura.
A questi tubi erano collegati abbeveratoi e fontane pubbliche la cui abbondanza ha sempre costituito un vanto per la nostra città. All’inizio del Seicento se ne contano 47 che diventano 78 nella seconda metà dell’Ottocento.
I PUNTI D’ACQUA
Erano gestiti e manutenuti dalle Vicinie, aggregazioni ufficiali di cittadini legati dalla residenza comune in una data area della città. Quando era possibile erano poste in luoghi facilmente accessibili come i crocicchi diventando anche riferimento per la vita pubblica e sociale. Basti pensare che nel XIV secolo i banditori dovevano annunciare i messaggi a loro affidati in luoghi ben precisi per essere certi che la comunicazione raggiungesse più persone possibili e questi punti spesso coincidevano proprio con le fontane.
LE FONTANE
Avevano forme piuttosto differenziate, ma quelle più apprezzate erano certamente quelle coperte (ne sopravvivono alcuni esempi all’angolo fra via Tosio e via Crispi, fra via Musei e via Gabriele Rosa, fra Corso Mameli e contrada San Giovanni). Ad eccezione della fontana monumentale della Pallata, avevano strutture architettoniche che rispondevano più a criteri funzionali che estetici.
Esemplari per questo connubio fra forma, funzione e sfruttamento ottimale delle risorse erano le fontane a tre vasche che raccoglievano l’acqua di primo, secondo e terzo uso: la principale aveva la bocchetta che distribuiva l’acqua potabile, le altre due raccoglievano l’acqua di caduta e la mettevano a disposizione per tutti gli altri usi (seppure trascurata, ne esiste un esempio in via Crispi).
FIUMI e CANALI
L’acqua di Brescia è anche quella del fiume Garza che, in epoca romana, lambiva le mura occidentali di Brixia, nel Medioevo attraversava il nucleo urbano lungo la direttrice di dell’odierna via San Faustino e nel XV secolo fu parzialmente deviato e coperto per fare spazio al Palazzo della Loggia (il profilo di uno dei ponti che lo scavalcava si vede ancora bene sul fianco della Chiesa di sant’Agata). E’ quella operosa dei canali – Bova, Celato e Molin del Brolo sono i più antichi e noti – che forniva la forza motrice alle ruote idrauliche dei mulini, dei magli, degli opifici dove si lavorano ferri, armature, spade; quelle dei filatoi o quella che serve per muovere una sega per marmi o ancora una macina per terre per fare le maioliche. L’acqua dei canali è ingrediente fondamentale per lavorare lino, seta, lana, per i tintori e i conciatori di pelli, quei confectores che danno il nome oggi a Rua Confettora e che anticamente avevano il loro quartier generale nell’ultimo tratto di via San Faustino. Non dovevano essere molto amati dal vicinato perché la lavorazione delle pelli prevedeva operazioni sgradevoli, lordava l’acqua, creava forti odori, ma erano sicuramente artigiani di primo piano visto il ruolo che rivestivano anche nella tutela e nel mantenimento delle acque del Celato.
E’ questo un assaggio di Brescia che vive sull’acqua e accanto all’acqua. Non è scomparsa, si nasconde fra le vie del centro storico dove si possono ritrovare le fontane e appena sotto la superficie delle strade contemporanee dove scorrono ancora i canali che si possono visitare grazie all’Associazione Brescia Underground. Quando le condizioni sanitarie lo permetteranno, partecipate ad una delle loro visite guidate nel “sottosuolo”: metterete i piedi nelle acque del Bova e del Celato, passerete sotto piazza Vittoria e sotto via San Faustino sbirciando i passanti da sotto in su, uscirete da un tombino accanto alla Chiesa del Carmine, ma soprattutto vivrete il ruolo fondamentale che l’acqua ha avuto nella storia della nostra città!
LO SAPEVATE CHE Negli statuti del Comune di Brescia del Duecento si ricordano non solo alcune fontane, ma anche gli abbeveratoi per gli animali. Sono tre disposti in vari punti del centro storico, quello chiamato “de Hiculis” (il termine sta per Hiculis ovvero Ercole) potrebbe essere quello che ancora esiste in piazzetta Labus. Ancora nell’Ottocento, infatti la piazza si chiamava ”del Beveratore” e la fontana era quella “del beveratore d’Ercole”.