La tradizione vuole che gli agrumi siano arrivati sul Lago di Garda nel XIII secolo al seguito dei frati francescani che si stabilirono a Gargnano nel convento dedicato a San Francesco e avviarono la coltivazione di limoni e cedri apprezzati e sfruttati per le loro proprietà medicinali.
Dalla coltivazione monastica a quella laica il passo fu piuttosto breve: già nel Quattrocento i giardini d’agrumi sono diffusi sulla sponda occidentale del Lago e, dal secolo successivo, l’agrumicoltura ha già sviluppato la maggior parte delle caratteristiche che, fra Seicento e Settecento, ne faranno non solo una fonte di ricchezza e benessere, ma anche un microcosmo produttivo stupefacente fatto di luoghi specifici, di architetture che addomesticano il paesaggio, di una lingua tecnica e specifica.
Certo il clima temperato del Benaco aiuta la messa a dimora delle piante di limoni e cedri, ma gli alberi perché prosperino e fruttifichino devono essere protetti dal gelo invernale.
Ecco allora che si costruiscono le limonaie, veri e propri capolavori di architettura produttiva.
Sui pendii più assolati e riparati dal vento vengono ricavati dei lunghi terrazzamenti (il linguaggio specifico dell’agrumicoltura gardesana le chiama “còle”) che, sul lato a monte e sui fianchi sono chiusi da murature continue mentre il fronte verso il Lago è scandito da solidi pilastri in pietra posizionati a distanza regolare.
Lo spazio fra un pilastro è l’altro definisce lo spazio in cui, storicamente, veniva piantato un albero in piena terra. E’ il “campo”.
Per ottimizzare lo spazio e la produzione si favorisce lo sviluppo verticale della pianta di limone, i cui rami vengono sostenuti dal “castel”, una incastellatura fatta di pali di castagno.
Sistemi idraulici ingegnosi, basati sulla caduta, convogliano l’acqua e la distribuiscono sui terrazzamenti e poi nei singoli campi.
L’orditura di travi, che collega i pilastri di pietra sia sulla sommità che sulla fronte, permette la chiusura della limonaia e la trasforma in vere e proprie serra con vetri che permettono al sole di entrare e ne potenziano il calore d’inverno e “portiere” che si possono aprire in giornate particolarmente calde per fare circolare l’aria e diminuire l’umidità .
Con un lavoro laborioso, le limonaie venivano chiuse a novembre, al più tardi entro il giorno di Santa Caterina (25 novembre) e riaperte a marzo.
“Per Santa Caterina stupìna, stupìna” (il verbo “stupinare” indica l’operazione di sigillare vetrate e portiere delle limonaie con una erba apposita per proteggere le piante dal vento e dagli spifferi) recita un detto gardesano che dimostra come l’agrumicoltura fosse così pervasiva della vita della riviera da divenire proverbiale.
E’ un lavoro faticoso, impegnativo quello dei giardini d’agrumi e anche costoso in termini di investimenti e mano d’opera, ma che genera numeri stupefacenti.
A metà Ottocento la produzione e la commercializzazione dei limoni raggiungono il momento di massima espansione con dati produttivi straordinari: da Salò a Limone si contano circa 50 ettari di terreno coltivato ad agrumi, le piante produttive sono 35.000, si raccoglie una media annuale di 15/20 milioni di limoni (8 milioni solo a Gargano).
Particolarmente apprezzati per il loro profumo, per il loro conservarsi freschi a lungo, per la qualità della buccia e la quantità di succo, i limoni gardesani sono destinati la mercato dell’Italia settentrionale, ma soprattutto all’esportazione: seguendo le rotte del lago di Garda arrivano in Polonia, Ungheria, Russia, Austria.
I principali produttori ed esportatori sono i conti Bettoni che fondano, nei primi anni del Settecento, la ditta G. F. Bentotti con sede nel palazzo di famiglia a Bogliaco.
Anagrammando in Bentotti il loro cognome i conti tutelano la nobiltà della casata non associandola ad una attività commerciale che, all’epoca, era prerogativa della borghesia. Ciò non toglie, però, che progettando lo scenografico giardino della loro villa di Bogliaco il conte Carlo Bettoni ricordasse come gli elementi di diletto come labirinti e scenografie vegetali andassero accompagnati da componenti produttive perché “ meglio è quella delizia che rende frutto”. Un pragmatismo che, per secoli, ha dato frutti profumati di limone.
Lo sapevate che
– Nelle limonaie c’erano sempre una o due piante di cedro i cui frutti erano venduti quasi esclusivamente alle comunità ebraiche che usavano questo frutto durante la celebrazione di una delle maggiori solennità del calendario liturgico ebraico: il Sukkot conosciuto anche come Festa delle capanne o dei tabernacoli.
– Le limonaie sono spesso circondate da cipressi perché questi sempreverdi le proteggono dal vento e dalla caduta di massi dalle pendici del monte, ombreggiano le cisterne dell’acqua usata per irrigare.
– Il nome del paese di Limone sul Garda non ha nulla a che vedere con la coltura dei limoni. Secondo i più recenti studi di toponomastica, infatti, il termine – un tempo Limono e poi Limon – deriva da una parola celtica che significa OLMO quindi il nome del paese di Limone significa luogo caratterizzato dalla presenza di olmi.
– Anche sul lago di Iseo ci sono testimonianze circa la coltivazione degli agrumi: il convento che sorgeva sull’isola di San Pietro prima della attuale villa aveva un giardino rigoglioso in cui crescevano anche questi frutti. In tempi più recenti a Pisogne, in località Dosso Seradino, la famiglia Santi fece costruire una limonaia modellata sulla strutture gardesane che fu operativa almeno nel XIX secolo e che stanno recentemente recuperando.