© ph. Matteo Marioli

Tempera a uovo, le ricette per “fabbricare” il colore

La lavorazione del pigmento con acqua e pestello © ph. Matteo Marioli
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Che in cucina l’uovo sia una materia prima fondamentale e il suo impiego sia versatile è un dato così acclarato da essere quasi scontato. Le sue caratteristiche gli danno la possibilità di essere protagonista di piatti semplici o complessi, ma anche di essere l’ingrediente fondamentale di preparazioni dolci  e salate. Lega componenti inerti come la farina, dà vita a gustose emulsioni come la maionese o le creme. La presenza dell’uovo nei ricettari di cucina, dunque, non stupisce.
Stupisce di più trovarlo nei trattati di pittura dove è citato in modo diffuso e ricorrente con la raccomandazione di controllarne la freschezza, di ben separare il tuorlo dall’albume, di dosarlo in modo da mantenere un equilibrio con gli altri ingredienti.

 

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Consigli degni di uno chef, che, in questo caso, servono  a preparare non un piatto gustoso, ma uno degli ingredienti fondamentali della pittura: il colore. Dimenticando tubetti e vasetti già pronti all’uso che sono un prodotto industriale dell’età moderna e contemporanea, “fabbricare” i colori era un procedimento che richiedeva esperienza , mestiere e ricette che venivano tramandate e perfezionate da bottega a bottega, di secolo in secolo.

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Il punto di partenza erano i pigmenti che erano ricavati da terre, minerali, erbe, materiali naturali e organici. Ridotti in polvere, essi venivano amalgamati con “acqua chiara” ovvero pulita di fonte e ulteriormente macinati con un pestello, una operazione lenta e paziente che aumenta il potere coprente della polvere colorata. Con questo procedimento si otteneva una pasta fluida e omogenea che, in base alla superficie sulla quale doveva essere usata, poteva aver bisogno di un legante che le desse corpo e ne garantisse la tenuta e la durabilità. Ed è qui che entra in gioco il tuorlo d’uovo, l’ingrediente preferito per lavorare e amalgamare i colori.

Nelle sue “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori” Giorgio Vasari descrive così  tecnica e procedimento:” Da Cimabue in dietro e da lui in qua s’è sempre veduto opre lavorate da’ Greci a tempera in tavola et in qualche muro.[…] e temperavano i colori da condurle col rosso dello uovo o tempera, la qual è questa: toglievano uno uovo e quello dibattevano, e  dentro vi tritavano un ramo tenero di fico, acciò che quel latte con  quel uovo facesse la tempera de’ colori, i quali con essa temperando, lavoravono l’opere loro”.

© ph. Matteo Marioli

Cennino Cennini, pittore d’epoca gotica e di maniera giottesca, nel suo “Libro dell’arte” raccomanda per ottenere delle tinte “ben temperate” di usare una pari quantità di “rossume quanto il colore che temperi” e di fare attenzione alla lavorazione dei bianchi che potrebbero ingiallire.
Per ovviare a questo rischio consiglia di usare tuorli di galline allevate in città piuttosto che in campagna perché il tuorlo delle loro uova è meno colorito.

Per gli azzurri l’uso della “tempera d’uovo” era da evitare perché il giallo dell’uovo avrebbe trasformato l’azzurro in verde, allora per legare questo colore si usavano colle a base animale o anche l’albume che era anche molto apprezzato per creare i colori da usare nelle miniature o ancora come vernice per dare lucentezza o come collante. Mescolato allo zafferano dava vita ad una vernice che si usava per imitare la doratura con oro zecchino.
I colori legati con il tuorlo erano lucenti e pastosi, andavano stesi – dice Cennino Cennini – a tratteggi e non con sfumature; quelli ben emulsionati con rosso e albume erano, invece, più fluidi e cristallini. Nell’emulsione poteva esserci anche l’aceto che evitava la coagulazione precoce della tempera, mentre il latte di fico la conservare più a lungo e ne favoriva l’essiccamento.

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Proprio come in una ricetta di cucina, è l’equilibrio fra gli ingredienti a fare la differenza ed è l’uso e il dosaggio a cambiare la qualità del colore e, di conseguenza, della pittura.
Ciò che noi vediamo di un dipinto o di un affresco sono le figure, il paesaggio, il disegno e tendiamo a considerale frutto di una creatività astratta quando invece nascono anche dall’uso sapiente dei materiali e dalla stratificazione dei colori.

Ivana Giangualano © ph. Matteo Marioli

L’articolo e le fotografie sono state realizzate con la collaborazione di Ivana Giangualano dello Studio di restauro Giangualano

Lo sapevate che:

  • La tecnica della tempera a uovo è molto antica, sembra che fosse già conosciuta dagli egizi che, però, la usavano con parsimonia perché le galline erano un animale d’importazione e quindi le uova erano un prodotto alimentare pregiato.
  • La tempera a uovo si usa per dipingere su tavola, ma anche per realizzare le cosiddette “finitura a secco” degli affreschi o come si legge nei trattati della “pittura in muro”
  • Girolamo Romanino padroneggiava con grande disinvoltura la tecnica dell’affresco sfruttandone tutte le potenzialità: modellava l’intonaco per dare rilievo alle figure e ai dettagli e usava spesso la tempera a uovo per le finiture a secco sia quando si trattava di stendere colori che con la calce si sarebbero rovinati, sia per intensificare la qualità stilistica della pittura.
    Romanino, Lo sposalizio della Vergine © ph. Laurom

    Le indagini svolte in occasione dei restauri del ciclo con le Storie della Vergine della Chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno hanno rivelato, per esempio, che l’abito bianco della fanciulla che si trova a fianco di Maria nello Sposalizio è fatto da due strati di bianco sovrapposti: quello di base steso a calce sul muro umido e quindi a “buon fresco”, e quello di finitura temperato con l’uovo e fatto di grani più grossi. Un’insieme che aumenta la luminosità e la profondità del colore.

 

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