Che in cucina l’uovo sia una materia prima fondamentale e il suo impiego sia versatile è un dato così acclarato da essere quasi scontato. Le sue caratteristiche gli danno la possibilità di essere protagonista di piatti semplici o complessi, ma anche di essere l’ingrediente fondamentale di preparazioni dolci e salate. Lega componenti inerti come la farina, dà vita a gustose emulsioni come la maionese o le creme. La presenza dell’uovo nei ricettari di cucina, dunque, non stupisce.
Stupisce di più trovarlo nei trattati di pittura dove è citato in modo diffuso e ricorrente con la raccomandazione di controllarne la freschezza, di ben separare il tuorlo dall’albume, di dosarlo in modo da mantenere un equilibrio con gli altri ingredienti.
Consigli degni di uno chef, che, in questo caso, servono a preparare non un piatto gustoso, ma uno degli ingredienti fondamentali della pittura: il colore. Dimenticando tubetti e vasetti già pronti all’uso che sono un prodotto industriale dell’età moderna e contemporanea, “fabbricare” i colori era un procedimento che richiedeva esperienza , mestiere e ricette che venivano tramandate e perfezionate da bottega a bottega, di secolo in secolo.
Il punto di partenza erano i pigmenti che erano ricavati da terre, minerali, erbe, materiali naturali e organici. Ridotti in polvere, essi venivano amalgamati con “acqua chiara” ovvero pulita di fonte e ulteriormente macinati con un pestello, una operazione lenta e paziente che aumenta il potere coprente della polvere colorata. Con questo procedimento si otteneva una pasta fluida e omogenea che, in base alla superficie sulla quale doveva essere usata, poteva aver bisogno di un legante che le desse corpo e ne garantisse la tenuta e la durabilità. Ed è qui che entra in gioco il tuorlo d’uovo, l’ingrediente preferito per lavorare e amalgamare i colori.
Nelle sue “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori” Giorgio Vasari descrive così tecnica e procedimento:” Da Cimabue in dietro e da lui in qua s’è sempre veduto opre lavorate da’ Greci a tempera in tavola et in qualche muro.[…] e temperavano i colori da condurle col rosso dello uovo o tempera, la qual è questa: toglievano uno uovo e quello dibattevano, e dentro vi tritavano un ramo tenero di fico, acciò che quel latte con quel uovo facesse la tempera de’ colori, i quali con essa temperando, lavoravono l’opere loro”.
Cennino Cennini, pittore d’epoca gotica e di maniera giottesca, nel suo “Libro dell’arte” raccomanda per ottenere delle tinte “ben temperate” di usare una pari quantità di “rossume quanto il colore che temperi” e di fare attenzione alla lavorazione dei bianchi che potrebbero ingiallire.
Per ovviare a questo rischio consiglia di usare tuorli di galline allevate in città piuttosto che in campagna perché il tuorlo delle loro uova è meno colorito.
Per gli azzurri l’uso della “tempera d’uovo” era da evitare perché il giallo dell’uovo avrebbe trasformato l’azzurro in verde, allora per legare questo colore si usavano colle a base animale o anche l’albume che era anche molto apprezzato per creare i colori da usare nelle miniature o ancora come vernice per dare lucentezza o come collante. Mescolato allo zafferano dava vita ad una vernice che si usava per imitare la doratura con oro zecchino.
I colori legati con il tuorlo erano lucenti e pastosi, andavano stesi – dice Cennino Cennini – a tratteggi e non con sfumature; quelli ben emulsionati con rosso e albume erano, invece, più fluidi e cristallini. Nell’emulsione poteva esserci anche l’aceto che evitava la coagulazione precoce della tempera, mentre il latte di fico la conservare più a lungo e ne favoriva l’essiccamento.
Proprio come in una ricetta di cucina, è l’equilibrio fra gli ingredienti a fare la differenza ed è l’uso e il dosaggio a cambiare la qualità del colore e, di conseguenza, della pittura.
Ciò che noi vediamo di un dipinto o di un affresco sono le figure, il paesaggio, il disegno e tendiamo a considerale frutto di una creatività astratta quando invece nascono anche dall’uso sapiente dei materiali e dalla stratificazione dei colori.
L’articolo e le fotografie sono state realizzate con la collaborazione di Ivana Giangualano dello Studio di restauro Giangualano
Lo sapevate che:
- La tecnica della tempera a uovo è molto antica, sembra che fosse già conosciuta dagli egizi che, però, la usavano con parsimonia perché le galline erano un animale d’importazione e quindi le uova erano un prodotto alimentare pregiato.
- La tempera a uovo si usa per dipingere su tavola, ma anche per realizzare le cosiddette “finitura a secco” degli affreschi o come si legge nei trattati della “pittura in muro”
- Girolamo Romanino padroneggiava con grande disinvoltura la tecnica dell’affresco sfruttandone tutte le potenzialità: modellava l’intonaco per dare rilievo alle figure e ai dettagli e usava spesso la tempera a uovo per le finiture a secco sia quando si trattava di stendere colori che con la calce si sarebbero rovinati, sia per intensificare la qualità stilistica della pittura.
Le indagini svolte in occasione dei restauri del ciclo con le Storie della Vergine della Chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno hanno rivelato, per esempio, che l’abito bianco della fanciulla che si trova a fianco di Maria nello Sposalizio è fatto da due strati di bianco sovrapposti: quello di base steso a calce sul muro umido e quindi a “buon fresco”, e quello di finitura temperato con l’uovo e fatto di grani più grossi. Un’insieme che aumenta la luminosità e la profondità del colore.