Quando si tratta di api e miele è quasi inevitabile che, dalla memoria, emergano le immagini di Winnie the Pooh alle prese con i suoi amati barattoli di miele o i tanti racconti della nostra infanzia in cui orsi più o meno agguerriti sfidano le api per rubare il goloso alimento.
E allora perché non lasciarci guidare da questa suggestione per andare a conoscere l’orso più vecchio del territorio bresciano?
Ha qualche migliaio di anni sulle spalle e viveva nel Pleistocene, quando le temperature erano decisamente basse e i ghiacciai alpini raggiungevano la Pianura Padana. Era un “Ursus Spelaeus”, altrimenti detto “Orso delle caverne” che abitava un ambiente naturale caratterizzato da una prateria simile alla tundra, con piccole aree boschive e un fiume o una fonte d’acqua.
Specie ora estinta, era caratterizzato da un corpo tozzo e massiccio (il peso medio si aggirava intorno agli 800 Kg), da una gobba accentuata del dorso, da un grande naso morbido e schiacciato e dall’abitudine di creare la sua tana nelle caverne, appunto.
Di lui oggi è rimasto uno scheletro completo che fa bella mostra di sé al centro della sala paleontologica del MAVS, il Museo archeologico della Valle Sabbia.
A fargli compagnia nel percorso espositivo, ma anche nell’habitat originario, ci sono la volpe, il lupo glaciale, il ghiottone e la iena delle caverne. Questi ed altri reperti fossili provengono dal “Buco del frate”, una grotta carsica che si trova nel territorio del comune di Prevalle sul Monte Budellone.
Qui nel 1954 fu rinvenuto da un gruppo di appassionati uniti nell’associazione Gruppo Grotte di Gavardo, un ingente deposito di reperti fossili del Pleistocene che, oggi, fanno parte delle collezioni del Mavs.
Da quel primo ritrovamento e nel corso negli anni, il Museo si è arricchito di reperti e opere che documentano la preistoria e la storia degli insediamenti e delle comunità della Valle Sabbia e dell’area gardesana occidentale. Il percorso espositivo segue la linea del tempo: inizia appunto dalle ere geologiche documentando la lunga vita della Terra e degli esseri viventi, attraversa il Paleolitico, il Peolitico e le età dei metalli (rame, bronzo, ferro) e arriva all’età romana con i corredi funerari e il lapidario con are e cippi iscritti provenienti dal territorio.
Insieme all’esposizione permanente, l’identità peculiare del Mavs sta sia nella rigorosa e appassionata attività educativa e di divulgazione dei contenuti storici – sono imperdibili i laboratori didattici e le visite guidate proposte in Museo e negli scavi del Lucone – sia nelle attività di scavo e ricerca scientifica che raccolgono l’eredità delle prime pionieristiche campagne del Gruppo Grotte. Da decenni, infatti, il Museo archeologico di Gavardo è promotore degli scavi che stanno riportando alla luce gli abitati palafitticoli del Lucone di Polpenazze, sito iscritto dal 2011 nella Lista del Patrimonio dell’Umanità, nell’ambito del sito seriale transnazionale “Siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino”.
Dal “cantiere” del Lucone, sono emersi e continuano a emergere numerosi reperti che permettono di fare luce sulle attività agricole, economiche, di sussistenza degli uomini delle palafitte in particolare nell’età del Bronzo. Ci sono gli oggetti: falcetti di legno e i tessuti di lino; le famose tavolette enigmatiche in pietra e terracotta che mostrano incisioni di linee, punti, forme geometriche variamente combinate il cui uso non è ancora chiaro (una delle ipotesi più accreditate è che fossero una specie di documento di trasporto per merci preziose), il vasellame – tazze, scodelle, boccali, brocche – per l’uso quotidiano e per le cerimonie.
Ci sono gli elementi strutturali delle palafitte: non solo le palificazioni, ma anche una porta e le due lunghe travi con fori regolari che, restaurate, sono esposte al MAVS da poche settimane e consentiranno di capire come si sviluppavano in alzato gli edifici palafitticolo.
Ci sono anche i resti di una silos: una struttura in argilla cruda di forma tronco – conica che sembra servisse per conservare i semi, ma non si esclude potesse essere legata allo sfruttamento del miele e alle api.
Non possiamo sapere se il nostro Orso delle caverne rubasse il miele dai favi, quasi certamente gli uomini delle palafitte ne conoscevano e apprezzavano il gusto usandolo anche per preparare delle confetture fatte con frutti selvatici.
Museo Archeologico della Valle Sabbia (MAVS)
P.zza San Bernardino, 5 – Gavardo (Bs)
Telefono: 0365/371474
mail: info@museoarcheologicogavardo.it
LO SAPEVATE CHE
– La più antica rappresentazione dell’uomo che si procaccia il miele prendendolo da un favo ci viene offerta da un dipinto, databile intorno al 7000 a.C., eseguito sulla parete di una grotta sita a Cueva de la Aragna (Spagna orientale). In questa pittura rupestre è rappresentata una figura umana che con una mano prende dei favi e con l’altra tiene uno contenitore per raccoglierli e trasportarli.
– L’orso bruno con le sue diverse sottospecie viene spesso rappresentato come goloso di miele. In realtà sembra che l’animale non disdegni questo alimento, ma attacchi gli alveari soprattutto per cibarsi delle larve delle api, ricche di proteine e di grassi, nutrienti preziosi per la sua dieta.