@ ph. Matteo Marioli

Il masadúr, la storia continua

Un tempo, ai primi freddi il norcino girava di cascina in cascina per uccidere il maiale e preparare i salumi,
aiutato dagli uomini che tagliavano e impastavano la carne, dalle donne che tagliavano e cucivano le budella
e dai vecchi che curavano il fuoco e raccontavano dei maiali degli anni passati…
(dal sito dell’Associazione Norcini Bresciani)

Il salame e le carni insaccate, in generale, per secoli, sono state il modo per conservare la carne, soprattutto nel periodo invernale.
La macellazione ha rappresentato un momento fondamentale per riempire le dispense e da Nord a Sud anche un rito collettivo per “celebrare l’abbondanza”, e riunire interi paesi attorno alla tavola.
Soprattutto in campagna e nonostante l’arte della salumeria sia collocata ufficialmente a Norcia, ogni regione d’Italia, quando si parla di insaccati, ha la sua tradizione.

Il norcino © ph. Matteo Marioli

Un settore d’eccellenza per il nostro Paese e così è anche per la nostra provincia che da secoli custodisce le sue tradizioni e in fatto di salumi e insaccati il made in Brescia è ancora oggi è una continua fonte di ispirazione.
Difficile risalire alle origini sul territorio di questi prodotti ma già lo storico greco Polibio, nel II secolo a.C. riferisce che la Valle Padana era celebre per gli allevamenti di suini, ma è nel Medioevo, sotto l’egida longobarda, che il maiale assume in queste zone un ruolo di primo piano nell’economia e nelle abitudini alimentari.
Agli inizi del X secolo il monastero bresciano di S. Giulia, che controllava una settantina di grandi aziende sparse nella Valle Padana, possedeva complessivamente 3746 animali, di cui 1672 (poco meno della metà) erano maiali.
Una cosa però è certa, che la fama di questi prodotti risiede soprattutto nella grande capacità dei suoi norcini di tramandare di generazione in generazione la cura e il valore di un’arte antica che ancora oggi si può ritrovare in molti salumi tipici di questo territorio.

Imbottitura dell’insaccato © ph. Matteo Marioli

L’OFFICIANTE DEL RITO, IL NORCINO
Nel bresciano si chiama masadùr o copadùr l’esperto norcino.
Figura rispettata e molto ricercata in passato fino agli anni ’60. un vero e proprio mestiere, il suo, che ha rischiato di essere messo da parte con l’avanzare del progresso e l’industrializzazione ma che agli albori del nuovo millennio, con la riscoperta del gusto delle tradizioni d’un tempo, ha permesso di continuare a valorizzare anche nel bresciano l’artigianalità della norcineria.

© ph. Matteo Marioli

Si tratta quasi di un’arte, perché da una parte richiede conoscenze anatomiche per poter sezionare l’animale dall’altra anche culinarie per il condimento degli insaccati.
Negli anni tra il 1100 ed il 1700 i mestieri legati alla lavorazione delle carni di maiale videro un notevole sviluppo. I norcini crearono in quel periodo nuovi prodotti di salumeria ma soprattutto iniziarono ad aggregarsi in corporazioni o confraternite assumendo un ruolo di rispetto all’interno della società. Ad esempio i norcini bresciani formarono, assieme ai formaggiai, una corporazione della quale si conoscono gli statuti in volgare già dal 1460 e l’ammazzamento del maiale costituiva già allora una specie di rito.
Erano contadini specializzati perché per tradizione famigliare conoscevano meglio di chiunque altro i principi della macellazione del suino, le quantità di spezie e di sale da usare a come forare e legare i salami.
Nel bresciano, la loro attività era stagionale. Nei mesi invernali scendevano dai monti per andare a valle nelle case dei loro committenti per macellare, dietro un compenso, i maiali e lavorarne le carni.

Legatura a mano, Azienda Agricola Al Berlinghetto © ph. Matteo Marioli

IL NORCINO OGGI E LE ASSOCIAZIONI, FUCINA DEL FUTURO
Nell’immediato Secondo Dopo Guerra la lavorazione locale delle carni salate ed insaccate ha assunto una connotazione semindustriale, crebbe nel corso degli anni fino ad oggi dove la figura del norcino è rappresentata da numerose aziende dislocate su tutto il territorio, dove è consentito esiste comunque ancora la figura del norcino locale.
Spesso un maestro artigiano che mette a disposizione di associazioni del territorio il suo sapere contribuendo a formare le nuove generazioni, garantendo la diffusione e la continuità in questa professione.

RECUPERARE DAL PASSATO PER DARE FORMA AL FUTURO

Italo Chiari © ph. Ass. Norcini Bresciani

Le associazioni sul territorio diventano fucina del futuro.
In Lombardia di promuovere la cultura legata alla norcineria ed effettuare l’attività formativa è nata l’Associazione Norcini Lombardi, a Brescia invece dal 2003 l’Associazione Norcini Bresciani con sede a Rovato che nel complesso ha già contribuito a professionalizzare diversi norcini in attività, formando anche circa 500 aspiranti masadùr, guidati da docenti “del mestiere”, si è potuto tramandare la conoscenza dell’arte della norcineria lombarda e bresciana.
Presidente è Italo Chiari, che questo mestiere lo ha iniziato a 15 anni affiancando l’attività del padre.
«Oggi di anni ne ho 64, perciò è una vita che faccio questo mestiere, che mi appassiona fin da piccolo. Mi è sempre piaciuto lavorare la carne di maiale e gli ho rubato un po’ il mestiere e anche qualche segreto. Mi ha sempre detto “cerca di essere calmo a fare i salumi e falli come vanno fatti. Vedrai che farai strada”. Ecco di strada in questo mestiere ne ho fatta davvero molta ma andando avanti e indietro da casa tutti i giorni per lavoro, ma non mi è mai pesato. La mia è una passione».

© ph. Ass. Norcini Bresciani
© ph. Ass. Norcini Bresciani

Il ricambio generazionale c’è, assicura Chiari.
«A Rovato insegniamo a fare le cose come una volta, come ci hanno insegnato a fare i salumi i nostri nonni. I giovani stanno tornando alle tradizioni di una volta. Purtroppo a causa della pandemia li abbiano dovuti sospendere, ma stiamo ragionando su come organizzare quelli che intendiamo riprendere nell’autunno 2022-23».

 

Cosa augurare dunque a questa professione per il futuro?
«Mi auguro che possa proseguire, ma che le giovani generazioni si impegnino a continuare a fare questo mestiere artigianalmente, non in modo industriale dove tutto viene macinato senza selezione e il sapore è omologato, ogni prodotto è uguale anche se è diverso. Un proverbio bresciano dice che per fare il salame buono ci vogliono due lune di agosto. Un tempo il maiale che si macellava era quello comprato l’anno prima. Perché così ingrassa nel modo giusto e anche la carne non perde di peso velocemente e il sapore ne guadagna. Il bello di questo mestiere sta proprio qui nella capacità di rispettare i tempi giusti. Esperienza che mette nel suo insaccato e ogni volta sarà qualcosa di diverso. Può capitare anche che non sempre sia perfetto. Ma fa parte del mestiere. Nei nostri corsi insegniamo che il sapore degli insaccati può cambiare di anno in anno».

© ph. Ass. Norcini Bresciani

Dentro una fetta di salame o di qualunque insaccato, dunque, c’è il suo territorio, la tradizione la tipicità, la trasparenza e la tracciabilità.
«Ogni paese ha la sua tradizione, il suo metodo di fare i salumi. Ogni maestro norcino a i suoi metodi e i suoi segreti, siamo tutti bresciani, ma diversi al tempo stesso, e non è che uno sia meglio dell’altro, sono solo diversi. L’importante è non usare additivi o conservanti poi i metodi sono tutti giusti. All’associazione durante i corsi, visto che non abbiamo un’attività di impresa, ci permettiamo ancora il lusso di impastare e insaccare tutto a mano».

 

ANTICHI MESTIERI, NUOVI LAVORI
Che nel bresciano ci sia interesse verso questo mestiere lo dimostra l’entusiasmo con cui è stato accolto anche il progetto a cura dalla Fondazione Castello di Padernello “Padernello cambia” che prevede percorsi formativi specifici per aiutare gli adulti e giovani disoccupati ad acquisire competenze imprenditoriali e orientate al mercato, in modo da poter recuperare antiche professioni artigiane e rivitalizzarle nel mercato globale, tra cui anche un corso di norcineria. Tenuto dall’esperto Piero Zatti.
Un progetto inserito in un percorso più ampio chiamato “Verso il Borgo”. Dopo il recupero del bellissimo castello medievale di questa parte della Bassa Bresciana, la Fondazione guidata da Domenico Pedroni, punta su un’economia circolare e sulla valorizzazione di un borgo artigiano coinvolgendo i centri di formazione professionale.
Svuotare e abbandonare un territorio non significa solo spogliarlo del suo paesaggio ma anche e delle sue tradizioni e tipicità locali ma soprattutto dei saperi artigiani.

Castello di Padernello © ph. Fondazione Castello di Padernello

Condividi l'articolo