Pregiati e originali, questi preziosi funghi ipogei conferiscono ai piatti di carne, pasta e persino di pesce un aroma intenso, subito riconoscibile.
Sono oltre 60 le specie, 25 delle quali si trovano in Italia. Tuttavia solo 9 sono commestibili e 6 di queste comunemente in commercio.
Ogni specie ha un suo carattere particolare, un suo profumo, un suo sapore.
Solitamente il tartufo bianco va “grattato” sulle pietanze fredde o crude senza cottura, mentre il tartufo nero viene aggiunto sul finale alle pietanze in cottura.
Qualche consiglio per pulire e conservare il Tuber prezioso preservando sapore e aroma
Pulizia
Il tartufo è un ingrediente molto delicato, va pulito con un pennellino dalle setole morbide, in caso i residui di terra possono essere tolti con la punta di un coltellino, è concessa anche una “passata” veloce sotto l’acqua fredda.
Conservazione
Per pregiato o meno che sia il tartufo andrebbe consumanto fresco. Tuttavia potete conservarlo in luogo fresco, come la parte bassa del frigorifero, ma per un breve periodo, non più di 7-8 giorni al massimo.
Bianco o nero che sia avvolgetelo in una garza traspirante, (lo strofinaccio della nonna tanto per intenderci). L’importante è che sia bianco.
- Nella carta. Se non avete una pezza, il metodo più diffuso è quello di avvolgere il tartufo nella carta da cucina, rigorosamente bianca, ma è perfetta anche quella da pane. Incartato mettete il tartufo in un barattolo o in un contenitore di vetro a chiusura ermetica (altrimenti ogni alimento in frigorifero rischia di assorbire l’aroma del tartufo) e sostituite la carta ogni giorno. Sarebbe meglio asciugare dalla condensa anche l’interno del contenitore.
- Nel riso o con le uova. Pulito, intero e incartato potete conservarlo in frigorifero anche in un barattolo chiuso contenente uova fresche o riso. Gli alimenti assorbiranno il suo intenso aroma e sia il risotto sia la preparazione delle uova acquisteranno un tocco speciale in più. Solo state attenti a non lasciare nel riso il tartufo a lungo perché l’amido potrebbe asciugarlo in poche ore e anche le proprietà organolettiche potrebbero non essere ottimali. Anche in questo caso comunque l’incarto va sostituito spesso.
- Nel congelatore. Sì, potete congelare il tartufo nero ma intero in contenitori ermetici, poi però dovrete grattugiarlo senza farlo scongelare per evitare che diventi molle.
Come capire quando non è più fresco
Se è morbido e gommoso è sicuramente andato a male, anche l’aroma si trasformerà in puzza e si avvertirà un intenso odore di ammoniaca. Oltre al tatto e all’olfatto fidatevi anche della vista. Il tartufo che ave in mano sarà da scartare anche quando colore e superficie presentano irregolarità nella forma molto vistose rispetto alla specie.
Un suggerimento in più:
- Burro aromatizzato al tartufo
Una volta tritato il tartufo potete aromatizzare il burro. Togliete un panetto di burro dal frigorifero e lasciatelo ammorbidire a temperatura ambiente, quindi lavoratelo a crema e amalgamatelo con il tartufo. Poi ricostruite il panetto aiutatevi con una carta oleata e conservatelo in frigorifero.
Una soluzione ottima per insaporire polente pasticciate, frittate, uova fritte, crostoni e risotti… il resto lo lasciamo condire alla vostra fantasia. - Olio aromatizzato al tartufo
Un’idea per le emulsioni di insalate, piatti di verdure crude o cotte e alcune varietà di pesce. Fate macerare in una bottiglia di olio (circa 2dl) 20gr di tartufo nero tagliato a fettine sottili; dopo 3-4 giorni filtrate l’olio eliminando il tartufo.
Lo sapevi che le prime notizie certe sul tartufo compaiono nella Naturalis Historia, di Plinio il Vecchio. Nel I secolo d.C., il filosofo greco Plutarco di Cheronea, tramandò l’idea che il prezioso fungo nascesse dall’azione combinata dell’acqua, del calore e dei fulmini. Da quel momento molti poeti, tra cui il satirico Giovenale, vissuto ai tempi di Traiano, aggiunsero dettagli alla leggenda.
A lui si fa risalire il racconto dell’origine del prezioso “tuber terrae”. Scrisse che il padre di tutti gli dei, Giove, con un fulmine scagliato in prossimità di un albero sacro, una quercia, fece nascere il tartufo. Poiché Giove era anche “padre dei vizi” al tartufo furono attribuite pure qualità afrodisiache.
Non così antiche, ma ugualmente importanti, le prime segnalazioni in provincia di Brescia. Risalgono a un documento del 1415, in cui è trascritta la vendita di tartufi tra un certo Pecino di Serle e Pandolfo Malatesta, Signore di alcune città lombarde, tra cui Brescia e Bergamo. I primi studi sulla composizione chimica del tartufo risalgono invece alla fine del XIX secolo.