© ph. Matteo Marioli

Il territorio bresciano, un habitat da tartufo

Per crescere e svilupparsi il tatrufo ha bisogno di un alto standard di biodiversità, ecco perchè chi va in cerca e raccoglie questo fungo non solo ha il dovere di mantenere l’ambiente com’è, ma anche di salvaguardarlo, pena l’impoverimento di questo frutto della terra. Se il tartufo è un alimento pregiato, quindi, è perché la sua limitata produzione esige precise condizioni ambientali.
Per conoscere meglio il più nobile dei funghi, il Quinto Quarto ha incontrato Carlo Colosini, Presidente del Circolo Micologico Giovanni Carini, un circolo storico di Brescia che esiste da più di 50 anni.

L’habitat del tartufo stumento di biodiversità © ph. Matteo Marioli

Quali sono le caratteristiche principali del tartufo come fungo?
«Nel disegno sistematico del Regno dei Funghi il genere Tuber (tartufi) appartiene all’Ordine Pezizales e alla famiglia Tuberaceae; i Tuber sono degli Ascomiceti. Il tartufo è un fungo ipogeo, cioè vive sotto terra. È caratterizzato tra l’altro dalla sua massa interna, la gleba, di colore variabile e da sacche dette aschi fatte come dei fagiolini che contengono le spore. Le caratteristiche organolettiche e il colore della parte esterna (chiara o nera) identificano le varie specie.
Quando giungono a maturazione, le spore vengono espulse non dal vento come i funghi epigei che vivono in superficie, ma da agenti esterni come insetti o animali che per cibarsene li sotterrano e ne disperdono le spore le quali non vengono intaccate dai succhi gastrici».

L’ecosistema in cui si sviluppa il tartufo richiede standard di biodiversità molto elevati. Ce li può descrivere?
«È vero. Per produrre il prezioso sporocarpo, il tartufo deve per forza vivere in simbiosi con piante arboree come il rovere, il tiglio, il carpino, o ancora il nocciolo. Concretamente, il Tuber instaura un rapporto simbiotico con gli alberi aggrappandosi con le ife del suo apparato vegetativo alle radichette delle piante (si instaura così il rapporto simbiotico detto micorriza) con un vantaggio reciproco. Alla pianta permette col suo apparato ifaledi espandersi allargando il suo cerchio per trovare nutrimenti da 20 a 200 metri. Il fungo invece si nutre delle sostanze organiche rilasciate dalla pianta».

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Quali sono le conseguenze sulla raccolta di una tale complessità?
Vivendo sotto terra, fino a 20 cm per la maggioranza dei tartufi e da 20 a 40 centimetri per il Tuber magnatum, l’odore fa parte dalla strategia riproduttiva del tartufo. Rilasciandolo, l’animale lo percepisce scava e porta via le sue spore. Più il tartufo vive in profondità, più la sua strategia di riproduzione richiede un odore forte.
La raccolta del tartufo è molto rispettosa del suo habitat. Infatti è regolamentata da una legge nazionale. Chi andasse a raccogliere senza rispettarne i requisiti, si esporrebbe ad una sanzione della guarda forestale. Tre sono i requisiti: Il primo è il possesso di un patentino rilasciato dalla Provincia su delega della Regione; il secondo è il possesso di un cane allevato ed educato a segnalare la presenza dei Tuber. Infine, bisogna essere attrezzati con uno zappetto per scavare rigorosamente sul punto segnalato dal cane».

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Il mercato del tartufo è in crescita costante. Come si fa a rispondere alla domanda rispettando la natura su un piano ambientale?
Il tartufo ha sempre più successo. Per rispondere alla domanda esistono delle tartufaie coltivate. Si tratta di creare un habitat idoneo con piante già micorizzate (cioè il rapporto di simbiosi è già presente) collocate dove il terreno è “sciolto”, cioè non argilloso, ne compatto di grana, perché sia garantito il drenaggio con un apporto d’acqua senza ristagno. La produzione di solito si fa in un contesto collinare di bassa o media altezza. Pochi tartufi nascono ad altitudini che possono arrivare fino a 1600 m s.l.m. Di solito le coltivazioni si fanno in luoghi a vocazione tartufigena. La tartufaia così coltivata dovrebbe dare frutti dopo 5 o 6 anni».

 

Per maggiori informazioni potete inviare una email a info@cmcarini.it o andare direttamente (Covid permettendo) alla sede operativa che si trova presso il Museo di Scienze Naturali il lunedì dalle 20.30 alle 22.30, quando gli appassionati ricevono il pubblico.

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