Con il termine “cereali” ci si riferisce in maniera piuttosto generica a tutti i semi ricchi di amido che vengono impiegati, artigianalmente o industrialmente, per produrre polente, minestre, pane, paste da cuocere e farine.
Da sempre i cereali rappresentato la maggiore fonte di sostentamento alimentare e, tutt’oggi, sono l’alimento principale anche nei Paesi in via di sviluppo.
La larga diffusione di questo gruppo di alimenti è dovuta a diversi fattori: la relativa facilità di coltivazione e il buon adattamento delle piante a diverse condizioni climatiche, poi il buon apporto calorico e il notevole effetto saziante.
Oltre al frumento al riso e al mais che sono sul podio del consumo alimentare mondiale, l’ampia famiglia dei cereali conta anche l’avena e la segale oppure il miglio, il sorgo e il teff più specifiche all’Africa.
I cerali sono buoni per la salute e lo sono ancora di più se consumati integrali: cioè quando i processi di lavorazione preservano il chicco nella sua interezza. Lo conferma una prolifica e seria produzione di studi scientifici che evidenziano il legame tra abitudini alimentari e stato di salute. Infatti, un elevato apporto di fibre nutrienti con un ridotto indice glicemico contribuisce a mantenere la forma, a migliorare la flora batterica intestinale, ad aumentare le capacità cognitive e psicofisiche e a ridurre i rischi per alcune malattie di tipo cardiovascolare o per il diabete di tipo 2.
Ma sapevi che il mais della nostra polenta era così buono per la tua salute?
Che viene dell’America centrale e che è la pianta d’interesse commerciale più coltivata al mondo?
Di cereali in generale e di mais e dei suoi benefici in particolare, abbiamo parlato con Silvia Marconi, nutrizionista, dietista, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali dell’Università degli Studi di Brescia, del team multidisciplinare di Dispens@
In termini generali perché è meglio preferire i cereali integrali rispetto a quelli raffinati?
«Negli ultimi anni, una produzione di lavori scientifici sempre più estesa e solida, sta evidenziando quanto sia importante il consumo di cereali integrali per mantenere un quadro di salute. In particolare, l’analisi dei dati provenienti dai diversi studi che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone in periodi di tempo anche di venti anni, ha dimostrato come un consumo di cerali integrali, rispetto all’utilizzo dei corrispondenti raffinati, sia collegato ad una riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause, del rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari, di diabete di tipo 2 e di cancro.
Inoltre, confrontando coloro che consumano elevate quantità di prodotti integrali rispetto a chi ne consuma piccole quantità o non li consuma affatto, sono stati osservati effetti benefici sul peso, sul colesterolo dannoso LDL, sulla pressione arteriosa e sulla glicemia.
Anche gli effetti su cancro al colon retto, cancro al fegato e allo stomaco sono dimostrati in maniera solida, sia per quanto riguarda la prevenzione che, in caso di pazienti già colpiti; infatti, un aumento dell’apporto di fibre provenienti da cereali integrali è associato ad una ridotta mortalità. Per promuove e favorire quindi una condizione di salute nel tempo, il consumo quotidiano di cereali e prodotti ottenuti con farine integrali, è fondamentale».
Quando, invece, è meglio evitarli?
«In alcune condizioni, spesso transitorie, un consumo abbondante di cereali e prodotti ottenuti con farine integrali è sconsigliato. In particolare, in molti quadri di sindrome dell’intestino irritabile, lo specialista in gastroenterologia può proporre un periodo in cui vengono ridotte le fonti di fibre, tra cui l’utilizzo di cereali integrali, seguito poi da una fase di progressivo reinserimento per valutare quali tipologie di fibre vengano tollerate o meno dal soggetto. Un approccio scientificamente valido sia per arrivare ad una diagnosi che per alleviare i sintomi in caso di intestino irritabile è seguire una dieta Low-FODMAPs, ossia una terapia dietetica che prevede la riduzione di tutti gli alimenti che contengano zuccheri semplici e complessi facilmente fermentabili nell’intestino. Per quanto riguarda i cereali, vengono momentaneamente esclusi sia i cereali che contengono glutine che i cereali integrali, sostituiti prevalentemente dal consumo di riso bianco.
Questo tipo di approccio dietetico con un ridottissimo apporto di fibre viene limitato a brevi periodi e prevede il graduale reinserimento di tutti gli alimenti, soprattutto per quanto riguarda i cereali integrali. Una dieta priva di cereali e prodotti integrali viene proposta, sempre per brevi periodi e sotto stretto controllo medico, in caso di attacchi di diverticolite o in preparazione per analisi endoscopiche o interventi chirurgici a livello intestinale, in cui è importante che il tratto intestinale risulti libero. In casi molto gravi, come in pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche come il Morbo di Crohn o la Retto Colite Ulcerosa, o che hanno subito asportazioni di tratti di intestino, lo specialista può prescrivere la riduzione periodica o permanente dei cereali e dei prodotti integrali.
Quelli indicati sono però contesti particolari e limitati, seguiti da medici e dietisti specializzati, sempre in ambito ospedaliero. In tutti gli altri casi, i benefici prodotti da un consumo regolare di cereali e prodotti preparati con farine integrali, sono solidamente dimostrati e la loro riduzione va limitata a brevi periodi».
Quali sono i criteri per la scelta dei prodotti integrali?
«La definizione di cereale integrale si riferisce al chicco quando viene utilizzato nella sua interezza, ossia quando vengono conservate crusca, germe ed endosperma nelle proporzioni originali, anche dopo i processi di lavorazione.
La conservazione di tutte le componenti del cereale offre un “pacchetto completo” di sostanze che va dalle Vitamine del gruppo B, Vitamina E, folati, minerali fondamentali e fibre che combinate tra loro, producono molteplici benefici.
Con il processo di raffinazione che prevede l’eliminazione sia della crusca che del germe di grano, soggetto ad irrancidimento, vengono persi più di 70 diversi composti, mantenendo pressoché invariato l’apporto calorico.
In Italia non esiste tuttora una legge che obblighi a distinguere una farina ottenuta dalla lavorazione del chicco integro rispetto ad una farina raffinata aggiunta di parti inerti come crusca o cruschello; le due tipologie di lavorazione vengono definite come identiche. Da qui la necessità di prestare attenzione durante gli acquisti. Quindi per scegliere un prodotto integrale, può non essere sufficiente basarsi solo sul colore o sulle indicazioni riportate dalla confezione. Può essere di maggior aiuto leggere l’etichetta e preferire prodotti che riportino la dicitura “cereali integrali” o “farina integrale” tra i primi ingredienti. Diciture come “macinato a pietra”, “ai cereali” o “con crusca” non sono sufficienti a distinguere prodotti realmente integrali».
Per quanto riguarda il mais, quali sono le sue principali proprietà?
«Il mais, o granturco, è l’unico cereale originario del Sudamericana, dove veniva utilizzato già dal 2500 a. c. Dopo la scoperta dell’America è stato progressivamente introdotto anche in Europa, in Africa e Asia. La pianta, Zea mais, è coltivata in diverse varietà e presenta dei chicchi il cui colore può variare dal bianco avorio al bruno e viene coltivata sia per l’alimentazione umana che per l’alimentazione animale o per le lavorazioni chimiche.
Dal punto di vista delle proprietà nutrizionali, il mais, come tutti i cereali, rappresenta una fonte di carboidrati complessi ad elevata funzione energetica. Su 100g sono presenti 73,3g di amido e 2,5g di zuccheri semplici e nel complesso fornisce 361 kcal. La presenza di fibre può variare da una qualità all’altra, e viene quindi indicato un apporto medio di 2,9g sui 100g. Infine, sono presenti circa 9g di proteine e 3,8g di grassi di cui prevalentemente polinsaturi, sotto forma di acido linoleico, monoinsaturi (acido oleico) e in minima parte saturi. I grassi sono concentrati nel germe del chicco, dalla cui spremitura si ricava l’olio di mais.
Per quanto riguarda l’apporto vitaminico, il mais è ricco di β-carotene (375 μg su 100g), in parte responsabile del colore caratteristico, mentre la niacina presente si trova in una forma non assimilabile dall’intestino umano. Se nell’epoca attuale questo non rappresenta un rischio di incorrere in qualche carenza nutrizionale, soprattutto per la varietà e la ricchezza dell’offerta di cibo, nel secolo scorso, un’alimentazione povera e basata prevalentemente sul consumo di mais ha rappresentato la causa scatenante dell’insorgenza della pellagra, caratterizzata da demenza, dissenteria e dermatiti anche fatali.
Infine, il mais è un cereale naturalmente privo di glutine e quindi può essere consumato liberamente dalle persone affette da celiachia o da sensibilità al glutine».
E quelle della farina di mais?
«Dal mais si possono ricavare diversi prodotti che vanno dalla farina alla maizena, ossia l’amido ricavato dalla purificazione della farina stessa, ai fiocchi per la prima colazione ai pop-corns. Si possono ottenere anche l’olio, ricco di acidi grassi insaturi e omega-6, etanolo e numerosi composti utilizzati nell’industria chimica. Dalle specie più ricche di zuccheri semplici si produce il mais in barattolo da consumare in chicchi e anche lo sciroppo di mais, dall’elevato indice glicemico.
Dalla macinatura del chicco intero si ottiene la farina di mais e la sua raffinazione comporta la perdita del germe, e quindi della componente oleosa, e delle fibre.
In base alla dimensione delle particelle può essere distinta in bramata (farina a grana grossa in cui è stato eliminata la pellicina esterna) e fioretto (farina a grana fine che può essere usata anche per la preparazione di pane o panature). Se invece vengono conservati tutti i componenti del chicco, dopo la macinatura si ottiene la farina integrale, dalla consistenza granulosa, e dal ridotto effetto su glicemia rispetto alla corrispondente raffinata.
Dal punto di vista nutrizionale, la semplice macinatura modifica minimamente la composizione in carboidrati, proteine e grassi, mentre si viene a perdere l’acqua contenuta nel chicco e quindi, a parità di peso, si assiste ad un lieve aumento dell’apporto calorico (370 kcal/100g invece di 361kcal/100g). La raffinazione ed eliminazione di germe e cuticola esterna, ne impoveriscono drasticamente il contenuto in vitamine, grassi polinsaturi e fibre».
Quale influenza può avere il processo di cottura sul mais e sulla farina di mais?
«Il principale effetto che si osserva in seguito alla cottura della farina di mais è sull’idratazione: la polenta può assorbire fino al 300% di acqua rispetto al peso a crudo della farina. Oltre ad aumentare in maniera considerevole il volume della polenta ottenuta, l’acqua contenuta ha un effetto positivo sia sull’apporto calorico, che per porzione risulta ridotto, sia per gli effetti sulla glicemia.
Nel caso si utilizzi farina di mais precotta, ossia trattata solo con vapore acqueo, la preparazione della polenta richiede pochi minuti, a differenza della farina di mais tradizionale che richiede almeno 50 minuti di cottura. Dal punto di vista degli apporti nutrizionali non si osservano differenze nei due prodotti, mentre dal punto di vista organolettico in alcuni casi viene riportata una perdita di alcuni aromi ed una consistenza diversa rispetto al prodotto tradizionale».