Usando un’espressione gergale potremmo dire che, nella vita quotidiana della Brescia contemporanea, Piazza del Mercato mantiene un “profilo basso”. Non ospita eventi o manifestazioni culturali, non è particolarmente frequentata se non come luogo di passaggio e questo è davvero un peccato perché seguendo la linea del tempo a ritroso scopriamo che è stata uno dei luoghi più animati e vivaci della città, cuore delle attività di vendita al dettaglio e all’ingrosso di merci che, nel corso dei secoli, le hanno dato il nome.
Nel Quattrocento e nel Cinquecento è nota come Piazza del Lino, mentre sul finire del Settecento è comunemente indicata come Piazza dei commestibili o delle erbe.
Nell’Ottocento e nel Novecento questa denominazione cede il passo alla toponomastica ufficiale che la vuole Piazza Nuova in età napoleonica, piazza del Littorio in epoca fascista, ed, infine Piazza del Mercato dal secondo dopoguerra.
Come accade, però, anche per piazza Paolo VI che tutti familiarmente chiamiamo piazza Duomo, quel “delle erbe” permane nella memoria di chi l’ha vissuta e conosciuta nel secolo da poco passato, a dimostrazione che è spesso la funzione a dare identità ai luoghi. E senza dubbio questo spazio è uno fra quelli che ha una fisionomia chiara fin da quel lontano 1428, anno in cui il Consiglio speciale che governava la città appena entrata a far parte dei domini di terraferma della Repubblica di Venezia, stabilì di creare un mercato in Platea magna de Terzanis che corrisponde proprio all’attuale piazza del Mercato.
Per il primo secolo di vita il suo aspetto doveva essere decisamente rustico: uno spiazzo sconnesso in terra battuta con i resti dei terragli e delle mura dell’XII secolo che, lungo il confine meridionale, seguivano proprio l’andamento di corso Palestro. Solo dalla metà del Cinquecento, nell’ambito della monumentalizazione e del riordino degli spazi pubblici cittadini, la piazza viene spianata e livellata e arricchita da edifici con funzione commerciale.
Per primo (1547) si costruisce il corpo di fabbrica porticato che, ancora oggi, chiude il lato sud: una architettura modulare e ripetuta che prevede per ogni arcata una bottega a piano terra e una scala che conduce al piano superiore e al mezzanino, destinati alle stanze di abitazione.
La fronte dell’edificio verso corso Palestro, invece, ha tre piani: una soluzione ingegnosa per colmare il dislivello fra lo spiazzo del mercato e la strada sottostante, dovuto alle mura preesistenti.
Anche il versante opposto, quello settentrionale, è regolarizzato da un edificio simile nella funzione, ma più ricercato nelle forme architettoniche il cui disegno spetta a Ludovico Beretta.
Mentre la piazza si arricchisce di case-bottega che ospitavano anche diverse attività artigianali, il commercio nello spazio centrale è più vivo che mai così come il vivai di persone che quotidianamente si approvvigionano di beni di prima necessità e di quel lino che viene così spesso ricordato nei documenti.
Non può mancare la pesa o meglio la stadera pubblica per i carichi pesanti: dalla finestra di uno degli edifici del lato sud della fuoriusciva un braccio di legno collegato verso l’interno a dei contrappesi e verso l’esterno da ganci e funi per legare le merci da pesare o fors’anche gli animali. Di questi ingegnosi strumenti ne esisteva più d’uno in città: oltre che in piazza del mercato, ne è ricordato uno in corso Garibaldi quando parte della via si chiamava appunto, via della Pesa, e uno in corso Mameli all’incrocio con vicolo Paitone.
In un ambiente così animato e frequentato e in un’epoca in cui la religiosità era parte costituiva della quotidianità è naturale, è quasi scontato che nasca una chiesa – Santa Maria del Lino, appunto – frutto della devozione popolare e legata ad un’immagine miracolosa raffigurante la Madonna con il bambino che sormontava una delle fontane presenti in piazza.
Sembra, invece, un po’ fuori luogo la presenza di Palazzo Martinengo Palatini con la sua scenografica facciata seicentesca che, come una quinta teatrale, ne chiude il lato occidentale.
La convivenza fra venditori e nobiluomini non deve essere stata, per nulla facile, se ancora negli anni Sessanta dell’Ottocento il conte Venceslao, ultimo discendente del ramo Martinengo che qui abitò fin dal XV secolo, si lamentava con il Comune di Brescia per l’eccessivo numero di bancarelle, per la confusione di venditori e acquirenti, per l’ingombro dei marciapiedi.
E’ questa l’epoca in cui nella piazza si vendevano tutti i “commestibili” e anche le erbe che constavano degli ortaggi coltivati nelle campagne limitrofe alla città, ma forse anche delle erbe spontanee edibili. I cosiddetti herbaroli si erano trasferiti qui solo nel 1764 quando furono costretti a sgombrare lo spazio a ridosso di Porta Bruciata (ora piazzetta della Bella Italia) dove, da tempo immemore, tenevano i loro banchetti.
Il loro arrivo dovette essere significativo visto che la piazza prese da loro il nome e per i due secoli successivi, nonostante i vari cambi della toponomastica ufficiale, la identificò e offrì lo spunto per la statua che decora la fontana.
Disegnata da Luigi Donegani e messa in opera nel 1829 è fra le più eleganti della città oltre che una delle poche ad aver mantenuto la propria collocazione originaria. Si compone di una vasca centrale che si raggiunge attraverso una breve scalinata e prevede quattro “punti d’acqua” sormontati da altrettanti pinnacoli. Il corpo centrale è arricchito da una statua realizzata da Giovanni Labus raffigurante un giovinetto circondato da elementi che evocano l’identità funzionale della piazza: la cornucopia è colma di prodotti vegetali e ai suoi piedi c’è un delfino rimanda al mare e quindi al mercato del pesce che si teneva poco lontano. Se vogliamo, dunque, ritrovare il sapore e la vivacità della piazza del Mercato possiamo ripartire da qui.
Lo sapevi che:
LO STATUTO DELLA BANDIERA
Nei secoli passati la spesa quotidiana di generi alimentari doveva essere “necessariamente” quotidiana, non esistendo sistemi di conservazione a lungo termine. Anche i prezzi andavano tenuti sotto controllo per evitare che chi viveva in città non potesse avere accesso ai beni di prima necessità. Questi due elementi fanno sì che il commercio di generi alimentari avesse delle regole rigorosissime volte a tutelare il rapporto diretto fra produttore e consumatore e ad evitare che i rivenditori potessero accumulare merci facendo alzare i prezzi. Nella piazza del mercato, dunque, i contadini che erano giunti dalla campagna potevano vendere, nelle prime ore del mattino, solo ai privati cittadini e solo dopo una certa ora (in alcuni periodi storici dalle 9 del mattino, in altri addirittura solo dopo mezzogiorno) erano autorizzati a vendere ai grossisti detti revendaroli o raccattoni. In piazza il cambio di regime di vendita era segnalato dall’abbassamento della bandiera comunale chiamata anche “bandiera edilizia”.
IL MIRACOLO DELLA MADONNA DEL LINO
Narra la leggenda che nell’angolo della piazza dove oggi sorge la Chiesa di Santa Maria del Lino si trovasse la casa di tal Girolamo Venturelli sul cui fianco era appoggiata una fontana sormontata da un dipinto murale raffigurante la Madonna con il bambino.
Nel dicembre del 1604 comparve alla porta del Venturelli un uomo anziano che, su un asino, portava una cassetta con dei paramenti sacri e insisteva che, proprio in quella casa si dovesse celebrare la santa Messa. Il padrone di casa, stupito, ripeteva che nella sua abitazione non c’era una cappella ed era necessario andare a Palazzo Martinengo per trovarla. L’anziano insiste fino a quando il Venturelli viene richiamato all’interno dal figlio malato e l’uomo anziano scompare.
Questo piccolo evento convoglia la devozione popolare sull’immagine della Madonna con il Bambino della fontana ed è talmente intensa che si decide di costruire una chiesa per conservarla. Nasce così Santa Maria del Lino che è stata restaurata da poco.