E se il momento della riscoperta del carpione fosse arrivato? Ricercato da secoli e servito al tavolo dei nobili per la prelibatezza delle sue carni, il salmo carpio nato nel Benaco è passato dalla leggenda alla chimera. Chi viene sul Garda per assaporarlo tornerà deluso perché per colpa del cambiamento climatico o del peccato umano, il carpione è quasi sparito. Chissà se le iniziative di questi ultimi anni lo faranno rinascere e consentiranno di ritrovarlo nel Lago e in tavola.
IL CARPIONE
Come il salmone, la trota e il salmerino, il carpione del Garda (salmo carpio LINNAEUS, 1758) appartiene alla famiglia dei salmonidi.
Se ne contraddistingue per le carni delicate più rosate ma anche per la forma della coda a rondine. La sua livrea è d’argento su fianchi e sul dorso e questo colore mette in evidenza una pinna dorsale scura come quella caudale, mentre le altre pinne sono di colore chiaro come il ventre. Parliamo di un pesce che raggiunge i 40 centimetri di lunghezza e i 500 grammi di peso mediamente. Ma non di un pesce qualsiasi. Di un pesce nato dalla mano di Saturno e che, oltre al suo alto valore nutrizionale, ha sempre rappresentato un grande valore commerciale per le attività locali che gli hanno attribuito il rango della specie più pregiata tra quelle d’acqua dolce.
Nel 1570 Bartolomeo Scappi, cuoco privato del Pontefice, lo descrive come il pesce prediletto di Papa Pio V. Si racconta dalla calata di Giuseppe II d’Asburgo-Lorena da Innsbruck il 24 luglio del 1765 a Limone per assistere alla pesca di questo pesce, conosciuto già allora come Re del Lago. E anche del registro sul quale agli inizi del ‘900 si annotava il pesce che partiva per i mercati di Vienna e di Parigi a bordo dell’Orient Express.
Ma quello che caratterizza il carpione è senz’altro il suo endemismo. Il prelibato pesce compie il suo intero ciclo vitale esclusivamente nel lago di Garda senza mai risalirne gli affluenti, stazionando alla notevole profondità di circa 200 metri, tranne che nei mesi di luglio-agosto e di dicembre-gennaio, quando le femmine risalgono fin quasi in superficie per la frega. Che solo questo habitat gli sia congeniale lo conferma il fallimento di diversi tentativi per introdurlo in altri laghi, persino in Nuova Zelanda.
La sua pesca risale ai tempi i più antichi. Nel 900 si pescava con due reti diverse: una rete di profondità – il reù- lentamente adagiata con grande precisione, e un’altra che si calava in acqua, trascinata dalla riva – il reèt. Man mano questa tecnica fu soppiantata dal metodo della tirlindana (lungo filo piombato avvolto su un rocchetto di legno) gestito dalla caratteristica barca del posto, la bissa, al metodo più recente delle reti volanti. Ma lo sviluppo delle tecniche non ha permesso di mantenere le importanti catture, che sono calate gradualmente dai 230 quintali negli anni ‘60 a circa 3 quintali quarant’anni dopo.
IL RISCHIO D’ESTINZIONE
Cosa è successo? Numerose sono le ipotesi all’origine dalla rarefazione del pesce lacustre: sarà colpa della variazione della temperatura delle acque o del loro degrado qualitativo, dei lavori eseguiti negli anni sulla Gardesana con lo scarico a lago di materiali di risulta e conseguente alterazione dell’habitat? A meno che non sia colpa dell’eccessivo prelievo, o della pesca attuata prima del raggiungimento della maturità sessuale. E se il carpione fosse stato vittima di una competizione alimentare con altre specie… Chi lo sa. Probabilmente una concomitanza di questi vari fattori ambientali e umani potrebbe giustificare l’estinzione del così buono salmo carpio.
Fino al 1978 il carpione veniva ripopolato grazie ad un permesso di pesca che garantiva la fecondazione artificiale: i pescatori autorizzati portavano le uova agli incubatoi del lago per farle inseminare.
Ciò senza successo, perché nel 2006 il carpione fu inserito nella lista rossa dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature) come specie a forte rischio di estinzione, scalando la classifica da specie vulnerabile a specie a forte rischio.
«Sono passati 40 anni di vuoto assoluto – dichiara il pescatore Gianni Briarava – che già nel 2009 aveva lanciato un appello per vietarne la pesca, che condusse alla creazione del presidio Slow Food nel 2014. Tra il 2011 e il 2013, la Regione Lombardia finanziò un progetto per sostenere le prime attività sperimentali di allevamento al centro ittiogenico del Garda a Desenzano e all’incubatoio ittico di valle a Tremosine».
In parallelo, per evitare di arrivare all’irrimediabile passo successivo di “specie estinta in natura” nel 2015 fu bandita la pesca nelle acque bresciane e veronesi. Contemporaneamente a Gargnano è stata avviata un’azione di ripopolamento, un’operazione di semina che porta a rilasciare un migliaio di esemplari nelle acque locali, forse un po’ timida ma che prometteva di espandersi.
«Nella parte trentina del lago, anche se il divieto di pesca arrivò solo nel 2019, già nel 2008 era stato avviato il progetto Carpiogarda, le cui finalità erano lo studio della biologia riproduttiva del carpione ed il protocollo di allevamento. In seguito, gli approfondimenti scientifici e sperimentali hanno consentito di produrre uno specifico know-how per far crescere i carpioni “in cattività”. Il 21 settembre 2012 la richiesta di brevetto» spiega Fernando Lunelli, che dirigeva all’epoca l’impianto ittico della Fondazione Mach e che ha curato l’intero progetto di recupero.
Il forte interesse economico e naturalistico per questa specie ha fatto nascere nel 2013 il Consorzio Trentino di Piscicoltura, che si impegna a garantire un prodotto sinora introvabile mediante un esperimento commerciale tramite l’associazione Astro, con possibili ricadute positive anche per il recupero della specie nel suo habitat. Un modo di “mantenere viva la tradizione e la cultura enogastronomica” dichiara Filippo Faccenda, succeduto a Lunelli.
Allora, se mai vi capitasse di vedere nel menù “Carpione al vapore con un goccio d’olio extravergine di oliva del Garda” o semplicemente a filetti crudi, non pensate male. Potrebbe essere un vero carpione, anche se di allevamento.
LO SAPEVI CHE esistono due altre specie endemiche? La prima è il carpione del Fibreno del lago di Posta Fibreno al confine del Lazio con l’Abruzzo e il Molise, l’altra il carpione del lago di Ocrida in Albania, considerato uno dei più antichi laghi sul Pianeta.
Ma il carpione è anche una preparazione culinaria che risale al ‘500 – la cosiddetta ricetta del “carpione incarpionato” utilizzata per la marinatura di carne, pesce e verdure, tipica della cucina piemontese. Nasce in ambiente rurale prima della diffusione del frigorifero anche perché consente una più lunga conservazione dei cibi rispetto ad altri generi di cottura, soprattutto nel periodo estivo. La marinatura si ottiene preparando un soffritto a base di cipolle aromatizzate con salvia, alloro, eventuali altre erbe officinali e pepe anche se nella ricetta originale la cipolla era assolutamente esclusa per non alterare sapori delicati. I cibi in carpione vengono in genere serviti freddi, a piacere guarniti con anelli di cipolla bianca.