La Terra vista da lassù è una meravigliosa biglia blu.
Nuvole, terra e mare. Così l’ammiriamo nella fotografia del 1972 scattata dall’equipaggio dell’Apollo 17. Una visuale a 45mila chilometri di distanza. “Blue Marble” (marmo blu) è il nome dell’immagine iconica, archiviata dalla Nasa con il codice AS17-148-22727.
La colorazione del nostro pianeta, suggestiva oasi nello spazio, è frutto della predominanza dell’acqua sulla superficie del globo, per sette decimi ricoperta da oceani. Poco meno del 3% è costituito da acqua dolce, per due terzi “intrappolata” nei ghiacciai. Ciò significa che solo l’uno per cento circa della riserva idrica presente sul pianeta può essere utilizzato dall’uomo. Un dato che fa capire quanto le risorse idriche siano preziose per la sopravvivenza, ma anche vulnerabili ai cambiamenti climatici con conseguenze sulla loro distribuzione e disponibilità. Un discorso che si amplia fino a sollevare grandi interrogativi sulla gestione sostenibile del nostro “oro blu” e sull’approvvigionamento alimentare, soprattutto nel Sud del mondo.
Dalla terra allo spazio e ritorno. Per l’agricoltura è indispensabile ripensare i modelli produttivi, testare nuovi paradigmi. La popolazione mondiale è in forte crescita: per il 2050 le Nazioni Unite prevedono 9,8 miliardi di abitanti (attualmente siamo circa 7,7 miliardi). Aumenterà la domanda di cibo, soprattutto in zone ad alta crescita demografica e la sfida sarà appunto quella di aumentare la produzione riducendo lo sfruttamento delle risorse naturali. L’acqua, innanzitutto. La Fao è chiara su questo punto: l’agricoltura è il maggior consumatore mondiale di acqua (69%).
La parola d’ordine è quindi “sostenibilità”. E la tecnologia pare essere la chiave di volta. Benvenuti nell’era dell’agritech ovvero l’agricoltura 4.0 che guarda alla produzione con un’ottica di trasparenza, efficienza e sostenibilità.
Non è fantascienza, è già realtà, tra frontiere in continua espansione e pionieri della sostenibilità.
Veggie, l’insalata “spaziale” – un passo nell’Atrobotanica
Nel 2015 un ceppo di lattuga romana è stata coltivata (e consumata) per la prima volta in orbita, a circa 400 chilometri dalla Terra. C’è un video, diffuso dalla Nasa, nel quale si vedono gli astronauti della Stazione spaziale internazionale mentre gustano il primo boccone di verdura fresca cresciuta, non senza incidenti di percorso, nel giardino spaziale “Veggie”. Poche, pochissime risorse per un cibo sostenibile, ricco di vitamine e sostanze nutritive, sicuro per il consumo, che dovrà vedersela con la gravità. L’obiettivo è quello di fornire – un giorno – cibo fresco agli astronauti impegnati in missioni di lunga durata, come ad esempio un viaggio su Marte. Gli studi sono in corso e non è da escludere che ciò che oggi vediamo solo nei film di fantascienza possa trasformarsi in realtà: partire da piccole serre con impianti di irrigazione e illuminazione adattati a condizioni di microgravità oggi esistenti per arrivare a serre spaziali in grado di sostenere, su altri pianeti, il fabbisogno alimentare della Terra.
AAA: Agricoltura, Agritech, Arkeofarm
Expo 2015 ha portato esempi concreti sul futuro dell’agricoltura, fra tradizione innovazione. “Nutrire il pianeta, energia per la vita” è stata d’altra parte la tematica dell’esposizione universale grazie alla quale abbiamo fatto un viaggio nel tempo verso scenari che ormai, a 6 anni di distanza, sono già realtà.
Come l’agricoltura idroponica, una tecnica che esiste fin dall’epoca degli Assiri Babilonesi – ricordate i giardini pensili dell’antica Babilonia? – riscoperta nel 1930 come acquacoltura dal fisiologo americano William Frederick Gericke e rielaborata fino a diventare sempre più sofisticata e innovativa.
Ma come crescono le piante? Senza sole, senza terra, senza pesticidi e grazie all’acqua che viene dosata (quindi non sprecata), riciclata e arricchita di sostanze nutritive. Una tecnica che permette di coltivare insalate, pomodori, cavoli ed erbe aromatiche in maniera sostenibile e, volendo, anche con un cambio di prospettiva “geometrica”, per così dire: in orti verticali. Se c’è qualcosa che viene “sfruttato” è lo spazio. La vertical farm realizzata dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) con il contributo di aziende specializzate del settore, ha di fatto mostrato all’interno del “Future Food District” di Expo Milano le caratteristiche di un’agricoltura che, oltre a richiedere meno spazio rispetto a una coltivazione tradizionale, non ha bisogno di suolo ma di un substrato alternativo alla terra (torba pressata, argilla espansa o lana di roccia) e dove l’acqua del ciclo produttivo viene sottoposta a un riciclo totale, e arricchita di soluzioni nutritive. Il sole, per coltivare, non è necessario: a sostituirlo ci pensano le luci a led, che replicano le condizioni naturali e accelerano la fotosintesi clorofilliana. Ottimizzare gli spazi per produrre di più consumando meno, come immaginato più di vent’anni fa da Dickson Despommier, padre del concetto di vertical farm, oggi è realtà.
“Vertical farm” e gli ortaggi nell’underground
Dagli Stati Uniti al Giappone, passando per l’Europa, le vertical farm sono sempre più diffuse. E nascono anche in posti inaspettati. Growing Underground si trova 33 metri sotto le strade di Clapham, a Londra. La serra tecnologica occupa i rifugi antiaerei della Seconda guerra mondiale. Gli spazi sono stati riconvertiti per la coltivazione di colture tutti i mesi dell’anno. In Giappone, la serra urbana di Miyagi che si sviluppa su 16 piani produce 100 volte più insalate. Ha 14 piani l’orto verticale di Copenaghen, nel sobborgo di Taastrup . A Cavenago, in provincia di Monza-Brianza, è nata Planet Farms: sofisticati sensori di controllo e un intero sistema automatizzato garantiscono prodotti sostenibili con un risparmio d’acqua fino al 97%
Fatta eccezione per i contesti in cui si riutilizzano edifici dismessi in una logica di ottimizzazione degli spazi e di riqualificazione urbanistica (Arkeofarm), le vertical farm appaiono sostanzialmente simili.
Non mancano perplessità, come la limitata tipologia di ortaggi da coltivare o il dispendio energetico richiesto da strutture che funzionano con un sole artificiale. Sarà l’evoluzione tecnologica a giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo di strategie che possano alimentarne l’efficienza.
A Offlaga, dove nascono i “Piantiny” di Luca Agosti
Non serve andare dall’altro capo del mondo per vedere, o immaginare, l’agricoltura del futuro. A volte le sorprese nascono dietro casa.
Un po’ come fanno i fiori che sbucano dal cemento o dalle rocce, nei luoghi più impensabili. A Offlaga, piccolo paese della Bassa Bresciana con poco più di quattromila anime, Luca Agosti, cura i suoi “Piantiny” e traccia nuove frontiere verso l’agricoltura di domani. Un pioniere green che ha “riprogrammato” l’azienda di famiglia Agriter con coordinate verso il futuro coltivando micro-ortaggi e fiori edibili in idroponica, a breve anche in aeroponica.
TRADIZIONE e INNOVAZIONE
Una storia relativamente recente perché Luca, pur essendo cresciuto in una realtà agricola condotta dal nonno e dal papà, per un lungo periodo si è dedicato ad altro. «Per dieci anni ho gestito un’azienda di smaltimento eternit, poi è successo un evento drammatico: il mio socio è morto davanti ai miei occhi in cantiere. A quel punto – racconta – ho deciso di cambiare vita e sono tornato all’agricoltura». Non un passo indietro, tutt’altro: quello che era tradizione è diventato ben presto cambiamento. Una vera rivoluzione, partita dai frutti di bosco e dalle fragole (su suggerimento della figlia minore) per arrivare alle erbe aromatiche, misticanze, fiori commestibili e micro ortaggi con la massima attenzione alla salubrità dei prodotti senza alcun tipo di sostanze chimiche utilizzate. Luca Agosti ha intrapreso subito un percorso di agricoltura sostenibile – “voglio dar da mangiare prodotti sani alla gente” – cercando di limitare al massimo il “rischio d’impresa” che per chi coltiva dipende sempre più dagli eventi climatici.
«Le prime stagioni sono state difficili tra temporali e bufere che buttavano in aria le serre o insetti che rovinavano le piante. Così ho pensato a cosa avrei potuto fare per evitare i danni dovuti ai cambiamenti climatici e all’impoverimento del suolo e ho iniziato a informarmi. Mi si è aperto un mondo. Oggi nelle 16 serre che coprono una superficie di oltre 2.200 mq coltivo i miei micro ortaggi fuori suolo, dentro sacchi di midollo di cocco serviti in idroponica: su ogni pianta arriva la giusta quantità di acqua, il 90% in meno della coltura tradizionale – evidenzia – inoltre, non usando la terra evito problemi legati ai metalli pesanti che la inquinano». E annuncia la sua nuova sfida: l’agricoltura aeroponica. “Sarà senza substrato e l’acqua, arricchita di sostanze nutritive, verrà nebulizzata sulle radici a seconda dell’esigenza con un risparmio ancora maggiore. La luce del sole sarà sostituita da luci led per la fotosintesi delle piante. Il capannone è in costruzione. Luca lo definisce “una piccola astronave” al sicuro da intemperie e inquinamento.
«Siamo dei precursori in un settore che tendenzialmente fatica ad aprirsi a nuovi orizzonti. Gli errori sono ancora molti, però ci credo in questo nuovo concetto di agricoltura che voglio fare non seguendo altri ma indicando nuove strade».
Agricoltore, pioniere, divulgatore. In una piccola casetta nel campo di Offlaga, con i suoi prodotti a km zero, durante il primo lockdown dovuto all’emergenza sanitaria Luca Agosti ha avuto l’opportunità di farsi conoscere da tante persone attraverso la vendita diretta e la consegna a domicilio (piantiny.it) ma tra i suoi clienti anche alcuni ristoranti stellati che realizzano alcuni piatti con i suoi micro ortaggi.
«E’ importante che le persone capiscano cosa c’è dietro un prodotto e che sappiano cosa mangiano» conclude Agosti.
LO SAPEVI CHE è l’americano Dickson Despommier l’ideatore delle fattorie verticali? Nato nel 1940 a New Orleans, il docente emerito di Microbiologia e Salute pubblica alla Columbia Univesity di New York, ha iniziato a progettare l’agricoltura del futuro negli anni Novanta, preoccupato dalle stime dell’Onu sulla crescita della popolazione mondiale, quelle che prevedono oltre 9 miliardi di individui nel 2050. La sua idea ha entusiasmato scienziati, architetti e politici di tutto il mondo. Nei suoi libri spiega che le fattorie verticali possono essere costruite in edifici abbandonati e su lotti deserti ma soprattutto da nazioni con poca o nessuna terra coltivabile, permettendo loro di produrre più cibo.