Le pesche. Delicate ma ricche di sapore, sono uno dei frutti estivi più diffusi e amati. Le più precoci maturano a giugno, le ultime si trovano a settembre.
Il pesco, è un albero che, secondo la leggenda, giunse in Europa dall’Oriente passando per la Persia grazie ad Alessandro Magno. I cui fiori sono stati celebrati da poeti, pittori, cantanti e scrittori.
Sono simbolo d’immortalità in Cina, di silenzio e d’infanzia in Egitto, mentre in Occidente il fiore di pesco è sinonimo di primavera e rinascita.
A Brescia non si può parlare di questo frutto senza associarlo a Collebeato, un paese affascinante dell’hinterland bresciano a nord della città, la cui storia è stata segnata profondamente dalla coltivazione della pesca.
Una storia breve ma importante di frutticoltura industriale bresciana del secolo scorso, come ci ricorda anche lo stemma comunale in cui è raffigurato un albero carico di pesche che si erge sull’apice dei tre colli.
Ambiente, biodiversità e impegno. Per Collebeato le pesche sono state «il simbolo e la sostanza di una ricerca verso una moderna agricoltura, di un nuovo modo di intendere la campagna ed il lavoro che ha aperto le porte ad altre radicali trasformazioni socio-economiche» scrive Marcello Zane, storico e scrittore bresciano, nel suo libro Il frutto della pesca nella storia di Collebeato.
Un albero coltivato fin dagli anni ottanta dell’Ottocento, dove era diffusa la coltivazione dei peschi della vigna. Che garantivano ombra e supporto alle viti e nutrimento ai contadini durante la vendemmia. A quel tempo però non esistevano ancora i quadri con i filari di pesche, ma solo filari di viti, in mezzo ai quali venivano messi i peschi.
Già allora comunque Collebeato era noto per le sue pesche bianche “nostrane”, oggi una rarità, eccellenti per sapore, dimensione, ma quasi nulle per il valore commerciale, perché delicate e da consumare in giornata.
Il 1919 segna l’anno della svolta. Il cav. Filippo Rovetta, proprietario terriero del posto, vuole commercializzarle e importa dall’America le prime piante di una varietà di pesco canadese dando impulso a un fenomeno inarrestabile fino alla fine degli gli anni ’50.
«Dopo la prima esperienza con un piccolo pescheto, Rovetta amplia la coltivazione nei suoi appezzamenti, subito imitato dai coltivatori locali che, vignaioli da sempre,
tolgono le viti per far posto a nuovissime piantagioni di pesche.
In pochi anni Collebeato, paese contadino per vocazione, diventa punto di riferimento regionale e nazionale per la coltivazione dei famosi “Pèrsech de Cobiàt” che forti della loro fama partecipano in pieno “ventennio” a mostre e sagre organizzate per divulgarne e celebrarne i pregi» ricorda nell’anno del centenario Gianni Rodella Presidente della Pro Loco.
Sodalizio che a partire dagli anni ’80 ha sempre ininterrottamente organizzato la famosa Festa dei Pèrsech mantenendo viva la tradizione locale. A causa del Covid anche l’edizione 2021 è stata annullata rimandata al 2022. Anche se qualcuno spera quest’anno di poter almeno proclamare il «pezzo» migliore della stagione, ma è solo un’ipotesi e si vedrà.
Il Quinto Quarto ha deciso di partire sulle di tracce di questa storia e per capire, a poco più di 100 anni dal primo pescheto, cosa resta oggi di tutto quello slancio economico? Poco purtroppo. Molte aree agricole sono state edificate ed è mancato nei campi il ricambio generazionale. Ma se da un lato non ci sono più le grandi produzioni che davano da vivere a numerose famiglie a Collebeato e nei comuni limitrofi della bassa Val Trompia resistono ancora pochi produttori che mantengono viva una coltura locale di qualità, da preservare e valorizzare. A vantaggio di una sostenibilità che in qualche modo ancora deve continuare a resistere, quella intesa soprattutto come passaggio di consegna tra generazioni.
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