Quando il cibo diventa arte e la tradizione dello spiedo prende forma.
Che fosse un passatempo per nobili, un esercizio di forza, agilità e astuzia o un più prosaico mezzo per approvvigionarsi di carne, la caccia ha goduto, nella società dei secoli passati, di una considerazione decisamente più alta rispetto a quella di oggi.
Non è un caso, dunque, che miniture, dipinti, affreschi, documentino questa attività senza dimenticare che le raffigurazione degli animali, del paesaggio, dei dettagli della vegetazione permettono all’artista di mostrare la propria abilità nel ritrarre il vero.
Ed è proprio questa capacità di descrivere la realtà con grazia e precisione, una delle caratteristiche più godibili dell’affresco staccato di Floriano Ferramola (Brescia, 1478 circa – Brescia, 3 luglio 1528) che rappresenta “La caccia con il falcone”.
Oggi il dipinto è esposto nella Pinacoteca Tosio Martinengo, ma in origine faceva parte di una decorazione ben più ampia che ornava quello che le fonti antiche definivano come uno dei più bei saloni nobiliari bresciani del Cinquecento. Non si fa fatica a crederlo osservando le figure e l’ambientazione della scena di caccia.
La composizione è ben scandita per piani: sullo sfondo si staglia una città murata verso la quale si incamminano due uomini armati e una fanciulla dalla silhouette aggraziata; poco lontano un uomo a cavallo insegue una lepre e gli fa da guardia del corpo un armigero con spadone e alabarda che fanno pensare a nemici ben più pericolosi della povera lepre.
La parte centrale del dipinto è occupata uno specchio d’acqua, forse l’ansa di una fiume. Sulla riva c’è un uomo con cappello piumato e delle “brache dimidiate” ovvero con gambe di colori diversi secondo il gusto della moda maschile cinquecentesca. Anche lui è piuttosto ben armato con una lancia in asta e uno spadino alla cintola! Ai suoi piedi ci sono due cani che assomigliano a dei levrieri, la razza preferita per la caccia alla volpe. In acqua poco lontano un cavaliere abbevera il suo destriero bianco mentre sul pugno della mano sinistra porta un falco.
In primo piano, invece, si svolge una curiosa parata di animali: un uccello dal lungo becco e dal piumaggio rosso si rivolge a un porcospino, una cicogna stringe nel becco un serpente che si divincola e un cane dal pelo arruffato che ha tutta l’aria di uno spinone sembra rivolgere uno sguardo furbo a chi osserva il dipinto.
La scena raffigurata è composta e serena, ben lontana dall’atmosfera che si doveva respirare in una vera battuta di caccia. Solo le armi di cui sono ben muniti i personaggi evocano la forza violenta dello scontro.
Fra quelle rappresentate manca lo spiedo, arma bianca fra le più longeve e versatili: dotata di una punta metallica a foglia o romboidale e di un’asta di legno, serviva per la caccia a grossi animali come orsi e cinghiali e fu, poi, perfezionata per gli scontri militari.
La sua fortuna è, però, legata al poter essere anche un utile “utensile da cucina”.
Nell’alto medioevo i guerrieri nomadi come i longobardi che si spostavano troppo velocemente per allestire una cucina da campo, usavano infilzare la carne delle prede direttamente sull’asta dello spiedo per cuocerla davanti al fuoco.
Strumento e tecnica, in seguito, si differenziano dall’ambito militare e si specializzano finendo per diventare sinonimo sia di uno dei piatti più amati della cucina bresciana sia del procedimento di cottura.
Una sintesi che è perfettamente rappresentata da un altro bel dipinto dell’Ottocento bresciano nel quale il pittore Angelo Inganni (Brescia, 1807 – Gussago, 1880), quasi certamente il maggior cantore dello spiedo sul fuoco, raffigura una fanciulla che cucina un ricco spiedo di beccacce.
LO SAPEVATE CHE
• La caccia con il falcone di Floriano Ferramola faceva parte di un ciclo pittorico più ampio che decorava il salone delle feste di palazzo Calini in Vicolo Borgondio nel centro di Brescia. Per il nostro territorio l’insieme che alterna scene di soggetto mitologico ad episodi di vita cortese è un raro esempio di decorazione profana cinquecentesca. Fu realizzato intorno agli anni venti del XVI secolo e rimase nella sua sede fino alla metà dell’Ottocento quando alcune parti degli affreschi furono staccate dalle pareti per ricavarne dei quadri da immettere sul mercato antiquario. Oggi questi “pezzi” sono suddivisi fra collezioni private e musei italiani e straniere. Il più grande è conservato a Londra al Victoria and Albert Museum e raffigura una giostra in piazza della Loggia offrendo un interessante visione della piazza prima della costruzione dei portici orientali.
• La caccia con il falcone era una delle tecniche più apprezzate dai nobili dal Medioevo al primo Rinascimento. Era un tratto distintivo della nobiltà e poteva essere praticata anche dalle donne che, spesso, addestravano e possedevano il proprio rapace.
• A Brescia, nel medioevo, il mercato dei rapaci si teneva all’interno del Broletto sotto la giurisdizione del Vescovo che, fra i propri privilegi feudali, aveva anche il controllo, in Valle Camonica, dei nidi e della covate dei falchi, degli sparvieri e degli astori.